di Simona Priami
UN HORROR repellente e disturbante, ricco di suspense e azione, ma soprattutto ricco di messaggi e significati che emergono a sorpresa dalla spettacolarità delle scene che si susseguono a ritmo vorticoso. Questo, in sintesi, l’ultimo Alien, che porta la firma di Fede Álvarez, regista uruguaiano, ma anche produttore e sceneggiatore, riconosciuto ormai da tempo dalla critica per La casa e Millennium – Quello che non uccide. In una colonia mineraria che fagocita materiale umano, senza pietà, dove i lavoratori soccombono senza possibilità di riscatto e non esistono diritti e associazioni sindacali, un gruppo di giovani determinati a evitare di morire come i loro genitori, soffocati dal lavoro e con i polmoni chiusi, decidono di fuggire. L’atmosfera soffocante e cinerea della colonia viene perfettamente ricostruita; ne emerge un senso di asfissia che mette in evidenza lo sfruttamento dei lavoratori da parte del sistema asettico e impietoso, una grigia pioggia accentua il senso di disperazione, facendo rivivere l’atmosfera dell’Inferno dantesco. L’orfana geniale e coraggiosa Rain (Cailee Spaeny) e il difettoso fratello sintetico Andy (David Jonsson) vivono in questo apocalittico mondo di sofferenza che ricorda tanta letteratura, da Oliver Twist di Charles Dickens, a Rosso Malpelo di Giovanni Verga; Andy, protetto dalla determinata Rain, appena rimane solo, subisce bullismo e angherie proprio per il suo essere un androide difettoso, in questo caso però dolce e fragile; nelle condizioni più disperate sono quasi sempre i diversi a subire maggiormente. I due si ritroveranno nella roulotte dove il gruppo Tyler, Kay, Bjorn e Navarro ha pianificato la fuga, i ventenni hanno bisogno di loro due, soprattutto hanno bisogno di Andy che ha potere particolari. Hanno avvistato una stazione spaziale fluttuante alla deriva, sembra abbandonata e decidono di dirigersi verso questa, hanno bisogno di materiale e carburante; durante il rocambolesco viaggio, i giovani affiatati e in abbigliamento militare, riescono a vedere il sole, la luce, una speranza che emoziona i viaggiatori da anni immersi nella colonia oscura. La stazione spaziale è abitata da inquietanti xenomorfi, aggressivi, violenti predatori, non vedenti, ma sensibilissimi al calore e ai rumori, capaci di percepire perciò un aumento del calore del corpo umano causato da paura o forti emozioni. I giovani, arrivati nella stazione, dalla prima perlustrazione, dovranno affrontare i terribili mostri che appaiono dal nulla, dal buio, dall’acqua e aggrediscono velocissimi, pronti a riprodursi, sfruttando il corpo della vittima. Si susseguono sequenze da spezzare il fiato in un thriller horror misterioso e ricco di colpi di scena, presenti tutti i temi classici della fantascienza, l’intelligenza artificiale, il mostro, l’alieno che attende nell’ombra, sbava, perde acido dalle ferite, che appare e scompare, sempre presente nei nostri lati più profondi, la disumanizzazione dell’eccesso della scienza, l’avidità umana. Romulus è il nome della parte principale della stazione fluttuante; qui si alternano laboratori, gallerie, armi e, di grandissimo effetto, la parte dell’ascensore e i giochi di assenza e presenza di forza di gravità. Remus è la parte minore, più asettica e tecnologica. Continua la tradizionale scelta dei nomi tratti dalla storia antica e dalla mitologia; Romolo e Remo i mitologici fondatori di Roma, allattati dalla lupa. Un film che tiene fino alla fine con effetti speciali mozzafiato e spettacolari, una costante atmosfera buia e tesa, una colonna sonora eccellente e coinvolgente. La protagonista, Cailee Spaeny, che spesso ricorda la stupenda Sigourney Weaver, tiene bene una parte difficile, con un finale inaspettato, veramente terrificante.