PISTOIA. Ognuno deciderà di portarsi dietro il ricordo che preferisce. Immaginiamo quello della moglie, dei figli, dei parenti più stretti e conosciamo anche, perché li abbiamo visti piangere e sentiti singhiozzare, quello di alcuni suoi amici, quelli che hanno fatto con lui quasi ogni tappa del suo lungo tragitto musicale. Ma non basta la delicata onoranza funebre con la quale, l’altra sera, a Santomato, alcuni dei suoi colleghi hanno omaggiato la memoria di Nick Becattini, suonando, ognuno a modo loro, il Blues. Che piaccia o meno, Nick Becattini è stato il Blues di Pistoia e visto e considerato che questo genere musicale qualcuno gradirebbe seppellirlo, bisogna fare qualcosa. La foto di Nick che abbiamo pubblicato a corredo di questa riflessione, lo ritrae con la sua sei corde, vero, ma non mentre si sta caricando sulle spalle il groove della serata, né sta dando l’ennesima dimostrazione della sua magnificenza strumentale. Il click è stato scattato in un frangente nel quale, a intrattenere il pubblico, c’è forse un suo collega di palco che si sta prodigando in un assolo o un momento nel quale, il brano, si sta preparando a imbandire la tavola per un gran finale. O forse sta solo accordando lo strumento, prima o dopo l’inizio di uno degli innumerevoli soundcheck che ha dovuto fare per accordarsi con la piazza che lo ospitava. Vorremmo che quello sguardo, vigile, concentrato, diretto a sud ovest, fosse il manifesto della resurrezione. Non quella di Nick, certo (saranno d’accordo con noi anche i cattolici più oltranzisti), ma del Blues, quello, come cantava Fabrizio De Andrè, che a Piero fa veglia dall’ombra dei fossi grazie a mille papaveri rossi.

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