PISTOIA. Quando una testimonianza diventa arte. Ci vuole il punto interrogativo per dare senso a questo periodo (?) La pittura sta alla poesia come la musica sta alla recitazione, del resto, così come la scultura si interfaccia con la letteratura. Senza dimenticare il cinema, l’architettura. La solidarietà. E la rivoluzione. Ce la farà Emilia Maria Chiara Petri, bolognese, a scavarsi una nicchia, più o meno prestigiosa, nel panorama pittorico nazionale (qui, il punto interrogativo, si rende necessario, altrimenti potremmo essere spacciati per intenditori, tifosi, prezzolati)? La risposta non la daranno i posteri, ma gli osservatori contemporanei, tra una moltitudine di occasionali e una sparuta minoranza di addetti ai lavori, che sono quelli che possono discernere sulla tecnica, sulla volontà, ma non sulle intenzioni. Il messaggio artistico, il messaggio in generale, esula da qualsiasi dotta classificazione e arriva alle interiora di chi ne fruisce per una moltitudine di ingranaggi che non sono identificabili, che percorrono vie spesso sconosciute anche a chi le sta battendo per la prima volta, senza aver avuto suggerimenti.

Nel terzo millennio, dopo quello che abbiamo avuto la fortuna, a volte devastante, di vivere in questi due secoli postcristianesimo, è difficile dare un senso nuovo a qualsiasi esperienza. Emilia Maria Chiara Petri (un nome sarebbe bastato, non solo per chi scrive), a Pistoia con le sue supertele nelle Sale Affrescate di Palazzo di Giano, tra autorità comunali e piccioni, troppi piccioni (eliminateli, sono topi volanti: citiamo l’indimenticabile Florio Colomeiciuc) all’interno del progetto Teniamoci che coinvolgerà più punti strategici della città per tutto il mese di settembre, proprio ieri, 1° settembre, ha inaugurato la sua personale, accompagnata da Carmen Schipilliti, curatrice dell’evento, Emiliano Mazzoncini, illustratore poetico delle tele e il Sindaco Alessandro Tomasi, nella sua duplice veste di primo e terzo cittadino (se fosse anche il secondo, sarebbe un regime), come assessore alla Cultura. Lei, la protagonista, che sembra essere presente, più o meno direttamente, in tutte le sue opere, preferisce dipingere; spiegarlo, ciò che si fa, finisce per essere un’improvvida indicazione di lettura, una condizionante traduzione, un incauto suggerimento visivo. Lo spazio fisico impegnato per le rappresentazioni sembra essere inversamente proporzionale alla avarissima loquacità dell’artista, che preferisce intimizzare le proprie speranze a affidarle al fato dei pennelli su olio, nell’attesa che durante la fase di asciugatura, il cielo e le circostanze suggeriscano una via di fuga, di salvezza. Sarà la sua visione una di quelle congetture artistiche e umane che riuscirà a salvarci da un’inevitabile deriva sociale alla quale ci stiamo inesorabilmente avviando? Non siamo per fortuna in grado di sentenziarlo: se così dovesse essere ci congratuleremo con la buona sorte di averla incontrata lungo il suo e il nostro cammino e non smetteremo mai di esserle grati per l’(in)consapevole illuminazione; altrimenti, quando ci chiederanno di Emilia Maria Chiara Petri, risponderemo che la conosciamo. Aggiungendo, con disinteressata convinzione, che è brava, molto brava.

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