FIRENZE. Non abbiamo i numeri (ahinoi) per discernere, nei dettagli, e dunque in modo appropriato e corretto, di un balletto; figuriamoci di cinque. Né conosciamo il background e le relative scuole, professionali e di pensiero, dei quattro coreografi che hanno dato vita, venerdì e sabato 16 novembre al Teatro di Rifredi, allo spettacolo, straordinario (l’aggettivo è sensitivo, epidermico, ma vale come se fosse pronunciato da addetti ai lavori), portato in scena da dieci giovanissimi danzattori, dei quali non abbiamo purtroppo le generalità ma che ringraziamo, con abbraccio annesso, uno a uno, appartenenti a quattro distinte scuole di danza, rispettivamente rappresentate dagli italiani Loris Petrillo e Angela Placanica, dalla francese Aurelie Mounier e dal portoghese Gustavo Oliveira, a loro volta inscritti sotto l’egida del COB (Compagnia Opus Ballet) diretta dalla nostra (nell’augurio che l’appartenenza non disturbi i globalisti) Rosanna Brocanello. Cinque sezioni, cinque modi, cinque mondi, cinque stili, cinque pensieri, cinque geometrie, cinque connessioni, cinque filosofie, ma un unico, grande, immenso, meraviglioso attaccamento alla vita, all’arte, al sacrificio, alla bellezza, alla coordinazione;

una serie infinita di rantoli, perfettamente percepibili tra un passo e il successivo, una serie infinita di piaceri, facilmente desumibili alla fine delle esibizioni, quando i dieci protagonisti hanno ognuno abbandonato le proprie postazioni e si sono raccolti, parallelamente, lungo il proscenio del Teatro di Rifredi, per raccogliere quell’applauso, liberatorio, fragoroso, sguaiato, del pubblico, composto, principalmente, da giovanissimi danzatori e danzatrici, che si saranno ripetuti, fino allo spasmo, durante le esibizioni, un giorno sarò uno di loro. Ma non sarà facile, senza conoscere le attitudini e i requisiti dei tanti giovani aspiranti presenti al teatro fiorentino. Non sarà facile perché per arrivare a toccare, con mano, certe sommità artistiche, occorre necessariamente passare attraverso la difficilissima e strettissima cruna dell’ago dell’abnegazione, dello studio forsennato, del sacrificio allo stato puro, senza la benché minima garanzia di successo, un esercizio e un allenamento che vanno ripetuti, incessantemente, per lunghissimi e tribolatissimi anni, rinunciando, contemporaneamente, a tutte le allettanti e facili lusinghe distrattive che costellano le adolescenze di ognuno di loro. Al di là dei nostri paternalismi, che difendiamo con orgoglio, comunque, sfidando chiunque a indicarci strade più facilmente percorribili, le cinque sezioni artistiche hanno avuto, ognuna, una sua partitura specifica: Caravan e Il Bianco nel mezzo, di Loris Petrillo; Le regarde de l’autre (Lo sguardo dell’altro), di Angela Placanica; Jamais dire 2 sans toi (Mai dire due senza di te) di Aurelie Mounier e Where is myself (Dov’è me stesso), di Gustavo Oliveira, con accentuazioni teatrali più o meno vistose, marcate, cinque storie distinte e separate l’una dall’altra che si sono ricongiunte, prima di essere sommerse dal rumoroso gradimento del pubblico, all’interno di un percorso artistico ben definito, animato e personificato dai personalissimi stili e guida dei quattro coreografi: intrecci sentimentali, triangoli sofferti e ribaltati, amori disabili, coscienti e timorosi, identità omosessuali dignitosamente protette ma orgogliosamente sfoggiate. Tutto all’insegna di una fisicità e un’armonia incantevoli, amplificate dalla giovanissima età di alcuni dei protagonisti, dimostrazioni lampanti, tangibili, inequivocabili, di affermazioni artistiche e professionali mirabolanti, minuziosamente e flebilmente costruite nelle palestre distanti anni luce dalle chimere, dal pressappochismo, dall’intolleranza e dal sessismo che iniziano a spopolare con preoccupante facilità.

Pin It