di Fabianna Tozzi
LAVAGNA (GE). Dall’eremo dal quale scrivo, incastonato sulle struggenti colline liguri, sembra che la magnificenza della natura, attraverso i colori e gli odori di una spettacolare primavera, salutino gioiosamente questa nostra stagione, così come il mare calmo e ignaro delle faccende umane. Difficile, da qua, credere che ci possa essere una stagione così tragica e spietata; soltanto i notiziari, il ritorno di mio marito da lavoro, le impressioni scambiate con i vicini, gli amici e i parenti più cari mi riportano alla realtà e alla riflessione. La quarantena giustamente imposta per arginare il propagarsi di questo virus ci dovrebbe suggerire pensieri più profondi, oltre a quelli strettamente materiali; ed è proprio in questo frangente che qualcosa in me è risuonato, come credo in tutte quelle persone che hanno vissuto, o meglio, subìto, una sorta di distanziamento sociale, dato da qualcosa di molto più temibile di un virus. Non esiste vaccino contro il razzismo, contro lo stigma sociale causato dall’eterna sopraffazione di chi si sente sano, superiore, per provenienza, colore della pelle, orientamento sessuale, identità di genere o qualsiasi altra condizione umana.
Molte persone, ancora oggi, vivono un’esistenza limitata dall’egoismo e dalla stupidità dettata dal non ritenere che tutte le persone debbano avere gli stessi diritti e le pari opportunità. Questo momento storico, triste, fatto di distanze e di lutti ci deve insegnare qualcosa di positivo. Adesso, di fronte a questo virus, siamo tutti uguali, con le stesse paure e gli stessi disagi. Purtroppo, però, anche in questo tragico contesto, c’è sempre chi sta peggio; le persone che sono decedute, i loro familiari, le persone sole e senza sostentamento. L’unico modo per celebrare i caduti di questo spaventoso contagio è rendere migliori noi stessi, i nostri rapporti con gli altri, la terra che abitiamo. Il ritorno a una vita meno veloce, il contatto con la natura e tutti i suoi abitanti, il rispetto per un albero e per ogni singolo essere, l’aria stessa che respiriamo; facciamo sì di non riempire forzatamente questi tempi dilatati con strumenti di distrazione. Anzi, forse è proprio la concentrazione che ci manca, su noi stessi, sul senso della nostra vita che difendiamo strenuamente. Sforziamoci di guardare il nostro prossimo con occhi diversi, quelli della reciprocità, dell’uguaglianza e della condivisione; si scoprirebbe cosi, che in questo pianeta tanto maltrattato, si nascondono altri universi. L’unica via, rimane vivere un’esperienza di rinascita, l’inevitabile cura che l’umanità può permettersi.