di Luna Badawi

FIRENZE. Un po’ di tempo fa lessi questa frase su un libro preso casualmente sullo scaffale di una libreria: I problemi sono una benedizione. Mi piace fare questo gioco, prima di comprare un libro, aprire le sue pagine a caso e leggere la prima frase su cui si poggia il mio sguardo. Quel giorno, lessi questa splendida frase. A essere sincera, non detti alcun peso al concetto. Pochi giorni dopo lessi una frase simile su Instagram: Il più grande problema dell’umanità è che crede di non dover avere problemi. Questa volta non riuscii a non dare peso alle parole perché mi sembrava un messaggio che voleva raggiungermi. Un messaggio che più ignoravo e più mi si ripresentava sotto forma di altre parole. Questa volta mi ci soffermai, nella speranza di cogliere qualcosa in più e così più rileggevo la frase e più mi risuonava dentro un significato più profondo. Probabilmente, come tutti, stavo cercando di dare un significato a quanto stava accadendo al nostro pianeta. La non comprensione porta sempre alla ricerca e la ricerca spesso genera una scoperta oppure una conferma. Quale scoperta o conferma mi poteva derivare da un momento così doloroso? Da un giorno a un altro siamo tutti chiusi in casa e non possiamo uscire se non per motivi limitati e importantissimi.

Non lavoriamo, se non da casa e siamo travolti dal silenzio che domina i nostri quartieri, le nostre città e il nostro paese. In una società così frenetica: tutto troppo veloce; tutto poco assaporato, automatizzato, volubile e poco ponderato. Arriva un virus e ci blocca tutti in casa. Niente più colazione al bar; niente più ufficio; niente più pausa caffè; niente pacche sulle spalle; niente strette di mano; niente baci o carezze; niente cene fuori o/e serate fra amici e parenti. Niente contatto! Cosa? Niente contatto? Sì, niente contatto. E la notizia aggravante è che non stiamo recitando il remake del film Inferno. Siamo nella vita reale. E stiamo davvero vivendo questi attimi di panico. L’incertezza non è solo uno stato d’animo, ma è anche una reazione alla non comprensione. È quello stato mentale in cui ti ritrovi quando cerchi di organizzarti le idee e capire perché succede un certo fatto e come contrastarlo o risolverlo. Beh, i primi giorni di solitudine, per me, sono stati travolgenti. Vivo a 3 ore e mezzo di distanza, da raggiungere via aereo, da mia madre e dalla maggior parte dei miei parenti. Nonostante sia abituata a rimpiazzare il contatto fisico con il contatto tecnologico, soffrivo l’idea di essere intrappolata e senza via d’uscita. Se avessi voluto raggiungere la mia famiglia, in Egitto, non lo avrei potuto fare.  La cosa più strana è che più passavano i giorni e più la mia solitudine acquisiva grande dignità. Più le statistiche rappresentavano peggioramenti globali e chiusure in tutti i paesi e più i miei pensieri acquistavano colore e respingevano la morte. In tutto ciò non ero sola. Notavo la primavera attraverso tutti. I miei vicini avevano cominciato a sfornare dolci a tutte le ore. Cosa davvero rara. Amici che non sentivo più da anni, mi chiamavano per salutarmi e sapere come stavo attraversando questo periodo sola in Italia. Perfino mio padre sembrava essere una persona migliore. Mi sembrava che oltre al virus, nell’aria, ci fosse consapevolezza. Sì, consapevolezza, cognizione, piena coscienza. Chiamala come vuoi. Ma, sembrava che, finalmente, le persone capissero che la vita è fatta per assaporare altro: i piccoli gesti, gli sguardi, il the al gelsomino con la musica o semplicemente il sapore del silenzio interrotto dai fiumi dei nostri pensieri. Mi sembrava che, nonostante la mascherina, la gente fosse tornata a respirare. Che, nonostante il divieto di toccarsi, la gente continuava ad accarezzarsi con lo sguardo. Mi sembrava che nonostante la paura di un’imminente depressione economica, sanitaria e sociale, la gente avesse il coraggio di lottare. Mi sembrava che lo stop al nastro delle nostre vite ci avesse costretto a riflettere e che ci stava regalando la gioia di cambiare. Sono sicura che Blaise Pascal, se fosse ancora vivo, avrebbe avuto più speranza nella felicità dell’uomo, della quale scriveva: Tutta l’infelicità dell’uomo deriva dalla sua incapacità di starsene seduto solo nella propria stanza. Siamo stati in grado di stare seduti, non sempre soli, spesso con la compagnia della nostra tecnologia, ma nelle nostre stanze. È già un inizio! La domanda che mi tormenta, però, è se dopo tutto questo saremo una società migliore? Non lo so. Ognuno ha la sua verità. Amo leggere la soluzione fra le righe dei messaggi che incontro tramite letture casuali e l’ultimo messaggio che ho letto è stato  ieri. La lettera di Albert Einstein sulla crisi del 1929. Così scriveva: Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere “Superato”. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è la crisi dellincompetenza. Linconveniente delle persone e delle Nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie duscita. Senza la crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c‘è merito. È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lieve brezze. Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo; invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con lunica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla. Sulle orme della parole di Einstein, mi viaggia il pensiero verso una società travolta da problemi tanto grandi che porteranno alla nascita di un cambiamento epocale. Un prima e un dopo Coronavirus e nel dopo guerra. Immagino strette di mano consapevoli, abbracci dal cuore e non per le dovute circostanze. Immagino del tempo di qualità ritagliato per noi stessi. Immagino delle aziende più digitali che lascino lo spazio ai loro dipendenti di lavorare da casa; immagino lunghe passeggiate e corse nei parchi; immagino meno isterismo e più gentilezza nei confronti delle persone che vivono con noi sulla stessa terra e sotto lo stesso cielo. Immagino, e dico immagino, che daremo più significato al tempo trascorso insieme, ai matrimoni in vista, alle riunioni di famiglia e ai sorrisi che possiamo regalare sempre più spesso. Immagino più misericordia e compassione per i dolori degli altri; immagino una scuola tecnologica, più in linea con i tempi; immagino una classe politica meno codarda e meno classista; immagino che potremo lamentarci meno e agire di più. Immagino e dicono soltanto di immaginare, oltreché sperare in chiese, moschee, sinagoghe o qualunque altro luogo di culto aperto e accogliente, ma anche generoso e rispettoso. Immagino un pizzico più di felicità e più di pace interiore. E allora, solo allora, avrà un significato concreto la frase: I problemi sono una benedizione. Altrimenti, sarà stato solo un sogno interrotto dall’insopportabile suoneria della sveglia.

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