MA PERCHE’ le mascherine sulla bocca e sul naso non sono forse una visione? No, quelle esistono davvero. Certo, ma come tutto il resto, perché non occorre vedere, toccare, sentire per sentenziare che qualcosa esista, perché lo si è visto e fotografato, perché lo si è toccato e abbiamo ancora le mani sporche, lo si è sentito e addirittura registrato. Fabrizio Pelamatti e Filippo Giansanti, che dal 2009 sono, artisticamente, i Santimatti e Horst Beyer, tedesco senza alcun bisogno di presentazione, hanno deciso di far convolare a nozze le loro opere coniugandole in una mostra unica, Arcana Lux Nova Lux, che è stata inaugurata oggi pomeriggio, venerdì 30 aprile, dopo un silenzio e una chiusura abissale, anch’esse propriamente visionarie, nelle Sale Affrescate del Palazzo Comunale di Pistoia, dove rimarranno esposte fino al prossimo 23 maggio. Parlare di visioni, anche se legate alla fonte primaria e indissolubile, la luce, è tanto arduo quanto singolare, se non blasfemo.

Noi, ci proviamo, ma premettendo anche a questo goffo tentativo di illustrazione, che ogni volta che ci si interfaccia con l’arte, propriamente detta e concepita, occorre, necessariamente, prendere le distanze, prima di tutto da noi stessi, che siamo inevitabilmente un filtro, sporchissimo, di traduzioni. Le due esposizioni, pronte già da parecchi mesi e debitamente congelate da cause di forza maggiore che qualcuno ancora stenta a valutare nella sua piena letalità, sono state comunque allestite in due spazi diversi, quelli che l’immobile posto al di sotto di Palazzo di Giano consente. Nella prima, appena entrati, le costruzioni di Horst Beyer, una serie inestricabile di intrecci, che somigliano alle arterie dei nostri organismi, tenute magicamente in vita da un’armonia superiore, che sfugge, spesso, anche agli studi più approfonditi e che finiscono, nel caso specifico, per dare vita a una nuova esistenza, che è il frutto di un lavoro paziente, certosino, massacrante, che necessita di pazienza, abnegazione, totalità. Nelle altre due, i ritratti familiari dei Santimatti, che sono fotografie che appartengono alla loro e alla nostra vita, quella che spesso e volentieri finiamo per parcheggiare su un comodino vicino al talamo nunziale, dove facciamo l’amore e mettiamo al mondo nuove visioni, che cementificheranno le nostre illusioni. I ritratti di Fabrizio e Filippo però (li chiamiamo per nome, perché li conosciamo da tempo, da quando si sono laicamente battezzati Santimatti e vantiamo, nei loro confronti, un’amicizia vera, dunque visionaria), restano appesi al presente e si immergono nel futuro grazie a delle corde che fuoriescono dai bulbi oculari dei soggetti immortalati e si uniscono tra loro, come a sancire un sodalizio, o una pace, se preferite. Ma le corde che penzolano dalle cornici sono anche, perché no – e non temiamo di essere smentiti, perché ce ne fottiamo – fili di corrente legati a una presa, come le abat-jour che illuminano le stanze da letto prima della notte. Ma non solo. Alcuni scatti rendono tangibile l’esistenza perché ritraggono uomini, donne e bambini in attesa di essere fotografati, con la parte superiore dei corpi avvolti tra nuvole di fumo, che li spersonalizzano fino al punto da renderli uno di noi, dunque veri, proprio come riusciamo a immaginarci.

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