di Wijdane Boutabaa
CASALGUIDI (PT). La scultura è spesso associata alla resistenza dei materiali, che sopravvivono impavidi allo scivolare del tempo. Il legno però si differenzia dalla fredda pietra per la sua componente viva che traspira anche tramite la sua dura corteccia scura. Proprio questo vigore ha attirato l’attenzione di un giovane Alessandro Gonfiantini (nella foto, di Beatrice Beneforti), che durante uno di quei terribili momenti in cui la vita di un uomo a volte incespica, caratterizzati da un frustrante senso di abbandono, ha scovato nella linfa vitale che scorre nel legno un vettore di sincera e ineguagliabile amicizia. Un giorno, d’un tratto e a tradimento, succede che quello che ha sempre funzionato non funziona più. Alessandro, che fino a quel momento aveva sempre trovato nel far vibrare le corde della sua chitarra tutto ciò di cui aveva bisogno, si rende d’improvviso conto dell’innegabile esistenza di un vuoto in sé, e si adopera per riempirlo con dei volti, da lui stesso fabbricati. Da un punto di vista biologico, il legno viene definito come un tessuto. Non può essere un caso quindi, che Ale abbia usato quella pelle fatta di cellule vegetali, ricolma di venature concentriche, per creare occhi, bocche, barbe e capelli.
Insomma, proprio come farebbe un dio-bambino creatore, ha scovato la soluzione più semplice al suo guaio, usando quel tessuto per fabbricare con le sue stesse mani quella tanto ambita compagnia. Quando si ha di fronte un materiale vivo, e quindi testardo, come sa essere il legno, può essere cosa ardua convincerlo a fare quello che si vuole. La soluzione, dice Alessandro, è scegliere il legno giusto. Ad esempio, quando si vuole creare il volto di un compagno imprimendo nelle sue rughe un’aura di sofferenza, è importante scegliere un tipo di legno che sappia bene cosa significhi aver sofferto, magari perché in passato gli è capitato di trovarsi divorato da un fungo o dilaniato da una colonia di termiti fameliche. Solo in questo modo il legno si farà portatore della causa in prima persona. Alessandro ha iniziato a collaborare col legno per un bisogno, e come ho imparato chiacchierando con lui, il bisogno non ha mai necessità che ci sia altro a sostenerlo. Il suo lavoro nasce da un’esigenza di portare presenza nel suo circostante, e per favorire questo fine, porta sempre avanti in contemporanea almeno tre o quattro sculture, così la fine del rapporto con ciascuna di esse può dilatarsi il più possibile nel tempo. Una volta data l’ultima mano di lucido però, quei volti prendono una loro personale identità che ha a che fare con chi poi si vorrà prendere la briga di guardarli francamente negli occhi. E così l’amico di Firenze con cui Ale andava a mangiare le piadine, rappresentato in quello specifico tronco, si tramuta, per qualcuno, in un Cristo penitente che ha alle spalle una storia diversa. L’importante comunque è che arrivi qualcosa, che queste linee scavate nel legno trasportino con sé un’aura che parli, usando il bisogno e la storia di un individuo per raccontarne infinite altre.