di Marcella Anzalone
VENEZIA. Si apre il sipario sull’ultimo fine settimana della 17° Biennale di Architettura che si annovera già come La Biennale più visitata degli ultimi decenni. In scena dal 22 maggio, la Mostra Internazionale di Architettura si è esibita nelle sontuose, decadenti ed emozionali ambientazioni veneziane, plasmando corpi doloranti, forgiando ambienti introspettivi e proiettando avveniristici scenari urbani al limite dell’utopia. Le visioni di nuove entità urbane e sperimentazioni materiche forgiate nelle affascinanti ambientazioni lagunari dialogano sulle più attuali tendenze della ricerca architettonica e urbana Spazio, Inclusività, Coabitazione, Ambiente, Sostenibilità e Resilienza, interpretando la tematica centrale della 17° biennale How will we live together? enucleata dal creatore di questa edizione, l’architetto Hashim Sarkis (dal 2015 Preside della School of Architecture and Planning al Massachusetts Institut of Technology) che così spiega la sua scelta. In un contesto di divisioni politiche acutizzate e disuguaglianze economiche crescenti, chiediamo agli architetti di immaginare spazi in cui possiamo vivere generosamente insieme. Nell’era della Globalizzazione, Digitalizzazione, Emergenza Ambientale e delle nuove, ormai imperative (e talvolta invasive) tematiche della Resilienza e della Inclusività, gli architetti di ogni paese del mondo hanno allestito la risposta progettuale ad un quesito che appare un po’ vago e, a tratti, un po’ debole nel suo intento di delineare una fluida e coerente risposta al complesso scenario attuale. L’interpretazione è variegata. Il retrogusto lascia qualche incertezza.
La sensazione è che i due mondi espressivi della Biennale, l’Arsenale e i Giardini abbiano proposto due differenti risposte: l’Arsenale sviluppa e interpreta la visione futura di un Co-Living sostenibile attraverso ricerca materica, modellazioni abitative fruibili, reinterpretazioni formali ed estetiche di forme urbane ormai compresse dal fenomeno della gentrificazione. Il costante e trasversale concetto di Riparo (Shelter) tradotto nelle più antiche tecniche costruttive e plasmato con forme geometriche pure e leggibili si alterna con avveniristiche infrastrutture che accolgono visionari moduli abitativi allestiti sul paesaggio lunare. Si indagano nuove forme di Coabitazione (Co-Habitat) in cui, nelle interconnessioni tra le diverse scale urbane, l’architettura e l’urbanistica sono assunte a pretesto per riflettere sulla comunità e la vita dell’individuo, sulla memoria collettiva, sugli spazi futuri. I Giardini della Biennale propongono una lettura meno incisiva, più vicina alla narrazione che alla progettazione: racconti espositivi volti ad approfondire uno stato, un disagio o l’urgenza di un cambiamento, delineano una fotografia efficace, ma statica, di Come viviamo insieme, esitando l’azzardo di proposte avanguardiste, forse auspicate. Questa la debolezza che emerge: ci si affida più alla potenza evocativa delle suggestioni, alla retorica percettiva dello scenario tridimensionale, che alla forza dirompente di una nuova progettazione urbana, peccando così di disequilibrio tra esibizione e progetto. L’elemento più travolgente di tutta la manifestazione rimane, indissolubile e magnetico, il connubio tra la storia e il fascino di Venezia e le ipertecnologiche visioni artistiche che serpeggiano tra le Calle e si adagiano tra i monumentali Palazzi della Serenissima. Sono proprio questi episodi, rappresentati dagli Eventi Collaterali e le Partecipazioni Speciali che rendono più frizzante, dinamica e contemporanea l’opera della biennale. Dall’evento Mutualities che contribuisce alla neurourbanistica, la ricerca che combina psicologia, neuroscienza e urbanistica, al Future Assembly, mostra nella Mostra di Studio Other Spaces alla errante e spirituale opera dell’artista Not Vital che, continuando la sua esplorazione del contesto spaziale e socioculturale dei luoghi, propone un’iterazione del progetto globale House to Watch the Sunset (iniziato nel 2005) con la sacralità aulica e armoniosa della Basilica di San Giorgio in Maggiore di Andrea Palladio: semplicità disarmante in una potenza evocativa atemporale caratterizzano la struttura di No Vital denominata SCARCH (neologismo coniato dall’artista per collegare la scultura e l’architettura). SCARCH, con la sua forma geometricamente austera, lineare e distesa verso l’alto, è sapientemente incastonata nella perfetta simmetria delle maglie palladiane e ha come unico scopo la contemplazione del tramonto, aggiungo, in tal caso filtrato dalla luce divina: quasi come una simbolica congiunzione tra universo naturale e universo spirituale, un riparo nel Riparo. L’opera di No Vital aderisce al formalismo plasmato dallo spirito del luogo e si manifesta primariamente per svolgere un’unica funzione, poetica e trascendentale: la contemplazione del tramonto e il riparo dalle tempeste, un’opera che, tra tutte le risposte esibite in questo iperbolico e conturbante Teatro dell’Architettura è probabilmente la più vicina a una coesistenza armonica tra uomo, natura, architettura e storia.