di Simona Priami

PISTOIA. Entrando nella sala espositiva in Palazzo dei Vescovi, a Pistoia, La Venere degli stracci appare illuminata dalla luce esterna proveniente dalle tre finestre che danno sulla medievale piazza del Duomo; il contrasto, di cui Pistoletto è esperto sperimentatore, viene messo così in particolare evidenza. Il confronto tra concetti contrapposti - antico/moderno, prezioso/senza valore, bellezza/rifiuto, storico/contemporaneo -, appare subito agli occhi del visitatore che si trova davanti tre idee storico-letterarie diverse: medievale, contemporaneo, classico, tre stratificazioni diverse per idea, disegno, colori. La Venere degli stracci, realizzata nel 1967, è opera basilare dell’Arte Povera di cui Pistoletto è protagonista; la scultura che richiama Afrodite di Prassitene, opera del 360 a.c. andata persa, sorregge gli stracci multiformi e colorati; non si vede il suo volto, ma solo la parte posteriore del corpo, suscitando immediatamente curiosità, ironia, senso di modernità e riflessione. Gli stracci posti in modo scomposto, ma come struttura simile a un igloo, rimandano al consumismo, ai rifiuti, all’oggetto usato, all’arte povera; fanno pensare all’emarginazione sociale, ai profughi e alle baraccopoli; i colori, il disordine, l’asimmetria, l’ironia, l’eccesso, ricordano la Pop Art. La Venere, nel nostro immaginario, è l’idea classica di bellezza eterna, armonia, simmetria, monocromatica, chiara e lucente.

Pistoletto l’aveva acquistata da un rivenditore di statue da giardino, perciò si tratta di una copia dozzinale, struttura che ben si inserisce nel contesto dell’arte povera; gli stracci venivano di solito usati dall’artista per pulire le superfici di acciaio riflettente. La Venere degli stracci esiste in varie versioni presenti nelle collezioni permanenti di prestigiosi musei. Il palazzo dei Vescovi, in una sala attigua, ospita anche Love Difference/Mar Mediterraneo. L’opera si riferisce al Movimento artistico per una politica InterMediterranea, progetto presentato da Pistoletto nel 2003 alla Biennale di Venezia. Un tavolo fatto di specchio, a forma di Mediterraneo, circondato da sedie, tutte estremamente usate e di poco valore economico, donate ciascuna da uno dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. La sedia è l’oggetto quotidiano per eccellenza. L’opera vuole mostrare la bellezza della diversità dei popoli, delle culture, delle tradizioni; le sedie sono poste come un abbraccio intorno al Mediterraneo, in un tavolo della pace, per il dialogo, il confronto, la fine dei conflitti. Il potere vuole omologare, ma la diversità è amore. Un’opera socialmente impegnata che fa riflettere, ma soprattutto, che ha proposto altri spunti, laboratori formativi e progetti, il tutto per mostrare la forza e il fascino della diversità.

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