di Letizia Lupino
PISTOIA. Tra le varie definizioni che si possono trovare, la danza viene spesso descritta, con un sentore di severità, come una disciplina che si esprime nel movimento secondo un piano ben prestabilito. E per quanto questo sia indissolubilmente e indistruttibilmente vero, ci piace però pensare che, nonostante, sia pervasa da una combinazione magica di aria e fuoco, fantasia e passione che, per antonomasia, difficilmente si possono imbrigliare in un ferreo schema. E così come a tanti bambini, che prima di andare a letto viene raccontata una fiaba, anche noi, pubblico del Teatro Manzoni di Pistoia, siamo stati coccolati da una narrazione classica e follemente sorprendente. Nell’affondare con sempre maggior comodità nelle poltrone di velluto la voce preregistrata che raccomanda un approccio rispettoso all’arte, silenzia in modo non omogeneo il pubblico; la chiacchierata attesa prima che la musica inizi, prima che lo spazio e il tempo comincino ad assumere una forma infinita ed indefinita e perciò ad avvolgerci completamente. La regia di Jiri Bubenicek ci presenta Cenerentola, balletto in un atto per quattordici danzatori che sfileranno e ci appassioneranno stuzzicandoci nell’atipicità di un grande classico che si sposa perfettamente con l’aria natalizia sempre più incalzante.
Veronica Galdo, la protagonista di questa storia senza tempo, dondola sul palco come un pendolo, una visione che rimanda immediatamente a quelle atmosfere che conosciamo così bene. Basterebbe questo frame assolutamente post moderno per catapultarci nel rifiuto dei presupposti classici, ma la drammaturgia di Bubenicek non si fermerà certo qui. Il Nuovo Balletto di Toscana in coproduzione con il Teatro del Maggio Fiorentino, dunque, decostruirà e ricostruirà tramite una visione assolutamente fuori dall’ordinario la Cenerentola dei fratelli Grimm, versione già più oscura rispetto a quella forse più conosciuta di Charles Perrault. La poca scenografia presente non fa certo difetto a quello che, ovviamente, deve essere il focus. Il corpo di ballo composto da Veronica Galdo, Paolo Rizzo, Beatrice Ciattini, Matteo Capetola, Francesca Capurso, Matilde di Ciolo, Aldo Nolli, Niccolò Poggini, Cristina Acri, Sofia Bonetti, Alice Catapano, Beatrice Ranieri, Carmine Catalano e Mattia Luparelli è incredibilmente mirabile nello scomporsi e ricomporsi tra ombre e giochi di luci, tra soluzioni che mai avremmo pensato così simboliche ed eloquenti. In un tripudio di corpi, di atmosfere cupe e di colorati shock è come se ci avessero raccontato una storia familiarmente diversa. Uno scenario inaspettato che butta via quindi l’obsoleto per arricchirsi in chiave contemporanea, ma senza tralasciare gli elementi salienti che rendono riconoscibile quel C’era una volta che si perde nella notte dei tempi. I classici personaggi quindi ci sono tutti, così come il lieto fine, immancabile ingrediente, quello che manca è la patina di polvere di un oggetto che è sempre stato lì, nonostante la moltitudine di versioni susseguitesi nei millenni. Giovane, fresco, poderoso e irriverente questo lavoro commissionato a Bubenicek dalla Compagnia del Nuovo Balletto di Toscana. Una commistione profondamente ben riuscita insieme a un tappeto musicale che, composto per la prima volta da Sergej Prokof’ev nel 1945, parla meravigliosamente bene la stessa lingua di un unico grande corpo che facendoci sognare è riuscito in un modo che pare imbarazzantemente semplice anche a farci ridere.