di Simona Priami
PADOVA. Una mostra dedicata a un artista che appartiene a quel gruppo di rari geni, rivoluzionari, beffeggiati dalla critica tradizionalista, figure che nella storia hanno creduto e continuato a credere al loro progetto e alle loro idee, alla novità che rompeva gli schemi. Conosciamo tutti quegli artisti che hanno cambiato il modo di concepire l’arte e di vedere il mondo; si tratta degli Impressionisti, termine coniato in senso dispregiativo quando, precisamente centocinquanta anni fa, il 15 Aprile 1874, il gruppo formato da Monet, Renoir, Degas, Morisot, Pissarro e altri pittori altrettanto importanti, esponevano a Parigi per la prima volta, trasgredendo le regole, andando oltre. Le rivoluzionarie opere degli impressionisti, definite En Plein Air, (cioè: per la prima volta si esce dall’atelier e si lavora all’aria aperta), vennero favorite anche dall’invenzione del tubetto. L’artista doveva portare con sé gli attrezzi del mestiere, tele e colori, doveva inoltre giocare con la luce, cogliere l’attimo da immortalare; le pennellate diventano veloci, a virgola, non esiste il contorno definito, ma sfumato attraverso i colori. La mostra, a Padova, al Centro Altinate San Gaetano (in esposizione fino al prossimo 14 luglio), espone le opere di Claude Monet (Parigi 1840 - Giverny 1926) che erano conservate nel suo atelier, nella casa di famiglia, opere a cui era particolarmente vicino. Emerge così il percorso intimistico del pittore francese; la collezione si amplia anche attraverso regali di altri artisti, soprattutto ritratti. Ci immergiamo in questo cammino nel mondo interiore e di crescita artistica del grande pittore impressionista, iniziando con Claude Monet che legge del 1873 di Pierre-Auguste Renoire, un’opera che ci ricorda il profondo legame di amicizia tra i due che erano talmente in sintonia da dipingere spesso il solito soggetto, l’uno accanto all’altro; Monet viene ora rappresentato in un gesto quotidiano e spontaneo, testimonianza della loro vicinanza fisica e intellettuale. Proseguiamo con opere dedicate alla prima moglie Camille e omaggi ai luoghi d’infanzia in Normandia. La luce è sempre protagonista sulla tela, soprattutto nella rappresentazione dei fenomeni atmosferici, osservati e ricercati costantemente e ovunque. Il nostro ribelle e geniale artista, non incline allo studio in senso tradizionale, amava anche viaggiare. Lo troviamo in Norvegia nel 1895 dove dipinge Il Monte Kolsaas, un paesaggio che lo attraeva molto e dove con attenzione studiò gli effetti della luce sulla neve. Nel 1905 lo troviamo a Londra, dove dipinge il famoso Londra. Il Parlamento riflesso sul Tamigi, opera raffinata e poetica, dalla pennellata già impressionista. Veniamo però alla fondamentale località, luogo di grande ispirazione, Givary, nella valle della Senna. Qui Monet si trasferì nel 1883, successivamente acquistò un casolare e lentamente costruì il suo giardino; qui l’artista ama studiare la natura, piante e fiori, i loro splendidi e misteriosi colori, la luce e i riflessi di questa sull’acqua. Nel 1890 creò vicino al suo casolare uno stagno con ninfee; sulla riva piantò quattro salici piangenti varietà babilonese e la distesa d’acqua prenderà sempre più piede nella sua produzione, diventerà elemento di studio e riflessione. Oltre alla luce sempre protagonista, abbiamo il colore, quasi un’esplosione di toni e sfumature. Il percorso espositivo offre una vasta gamma di Ninfee e altre rappresentazioni di fiori da lui amati Iris, Emerocallidi Daylilies, Malva. Osservando le numerose sfumature di colore delle opere di Monet (verde, azzurro, viola; i riflessi e i giochi dell’acqua) sembra di respirare e odorare i profumi della sua terra, egli stesso la definì meravigliosa aggiungendo sono in estasi. Nel 1905 fa costruire sul ponte giapponese che sovrasta il suo adorato stagno di ninfee, un arco in cui si arrampicava un glicine, pianta che adorava e che dipinse spesso affascinato dalla sua forma e dalle stalattiti multicolori. Nonostante la malattia che lo colpì in età adulta, la cataratta che ha impedito al suo occhio strepitoso di dare il massimo risultato, Monet lavorò fino alla fine, le sue ultime opere, saranno sempre più vicine all’astrattismo, anticipando nuovamente i tempi, il pensiero, le tendenze e le correnti letterarie.
‘Il mio giardino è l’opera d’arte più bella che io abbia mai creato’