PISTOIA. Quanto tempo ci resta, ancora. Difficile, prevederlo, soprattutto in questa stagione. Poco o tanto che dovesse essere e che sarà, sarà bene impiegarlo a ricordare, che spesso, è l’unico sollievo. E la grande condanna. Mauro Pompei, titolare della libreria Lo Spazio, in via dell’Ospizio, a Pistoia, ieri sera, il suo giovedì degli apericena che non si chiamano così ma che sono in buona sostanza proprio degli apericena, se l’è voluto prendere tutto per lui, trasformando i suoi ospiti dei giovedì precedenti e di quelli che verranno in spettatori. Lo ha fatto confessandosi. Lo ha fatto nel modo migliore nel quale riesce a pensare, in romanesco, slang che gli appartiene perché lì è nato, cresciuto, perché lì ha coltivato i sogni, raccolti però chissà da quale altro fortunato viandante, proprio mentre lui, armi e bagagli, cercava altrove un’altra via.
Lo ha fatto con un filo di voce e con la colonna sonora, dolorosa, pensante e concorde, di Piero Corso, un grande silenzioso coreografo musicista che conosce il dolore, il suo, quello degli altri e quello di Mauro, che non è stato a raccontarglielo: si capisce, si sono capiti. Subito. Il fiato grosso dell’esordio denuncia un’emozione difficilmente controllabile: non basta un rosso in più o due sigarette divorate. E non è perché l’unico riflettore acceso della sala della libreria illumina soltanto lui; dipende da quello che sta per raccontare, che è la vita di quelli che sognavano un altro mondo e che si sono dovuti accontentare di vivere in quello che gli è stato dato. E che non gli piace, pe’gnente! Tra Pasolini e Caligari, stretto nella morsa dell’impegno che incombe, soprattutto quello istigato dai fratelli più grandi e la leggerezza che attrae, per la quale basta esserci, senza pensarci molto. Senza pensarci affatto. Il sollievo di averla scampata è pari alla condanna di avercela fatta; ora potrebbe ricominciare, Mauro, anche a scriversi il proprio libro, fingendo che tutto quello che è successo fino a ora sia stato uno scherzo, confuso nei sogni e nelle paure, negli incubi e negli scontri, nella passione e nel desiderio, nel diritto di decidere e nel dovere di obbedire, guardando lontano, molto lontano e scoprirsi miopi e accontentarsi di riuscire a vedere a pochi passi da noi, dove crescono i nostri figli, che ci amano profondamente, ma che saranno il nostro esatto contrario. In libreria ci sono le solite persone dei precedenti appuntamenti e molte di quelle che verranno a salutare i successivi, con qualche arrocco stabilito per sopraggiunti contrattempi. L’attenzione di tutti è molto alta: si capisce che Mauro, nonostante legga i propri scritti, sta raccontandosi davvero e che per farlo abbia deciso di pronunciarsi nella lingua che gli è più familiare, quella che raddoppia le consonanti singole e dimezza le doppie, ricca di apostrofi che ricordano una vocale che non c’è più e una consonante abbattuta per esigenze fonetiche. La madre e il padre stanno a sentire, siamo pronti a scommettere, come i fratelli, Alice, le due figlie, gli amici vecchi e lontani, quelli più recenti e per forza vicini, la nuova compagna, che sorride per sdrammatizzare, ma che sa benissimo che quello che sta raccontando è tutto vero. La confessione si interrompe: un minimo di teatralità non guasta; bisogna mescere un rosso, fare un resto. Il giovane collaboratore ha preso 3 a Fisica: a perdere tempo da Mauro stasera non vai, gli hanno intimato i genitori. Un attimo, aspettatemi. Si toglie la parannanza e torna sotto la luce fioca che guarda il leggio. Riprende il cammino, esattamente da dove l’aveva interrotto. Le cibarie sono come al solito deliziose, il vino è quello che conosciamo tutti. Mauro anche, con il solito sorriso, ricco di lacrime e una vita che lo aspetta, impaziente, di ricominciare.