PISTOIA. È illuminata da un sorriso bellissimo, donna Tina, anche se è incazzata, ma parecchio incazzata. Il prossimo 23 maggio sono venticinque anni che è vedova; suo marito si chiamava Antonio Montinaro: era con Vito Schifani e Rocco Dicillo sulla Fiat Croma che precedeva quella sulla quale, a bordo, viaggiavano Francesca Morvillo e suo marito, Giovanni Falcone. Non vogliamo tornare su una delle pagine più truci e dolorose di questa Repubblica: i mafiosi coinvolti nell’attentato sono quasi tutti dentro, a scontare l’ergastolo. Quasi, tutti. Qualcuno l’ha fatta franca, perché “chi li doveva proteggere, se li è venduti”. L’ultima affermazione è virgolettata non perché si tema qualcosa: la pensiamo così – e non certo da oggi -, ma perché l’ha detta lei, donna Tina, la vedova del caposcorta di Giovanni Falcone, oggi pomeriggio, davanti alla teca posta nel piazzale della nuova Questura di Pistoia.

All’interno ci sono i rottami di quella macchina (difficile capire che quel grumolo di lamiere sia quel che è restato della Fiat Croma), che sta facendo il giro del Paese (la tentazione sarebbe di usare la minuscola), per non dimenticare. Noi, non ce lo siamo dimenticati, né vogliamo che succeda. Nemmeno donna Tina, ha dimenticato, ma ha saputo trasformare il dolore in energia e a distanza di venticinque anni da quel martirio, di civiltà, di democrazia, di libertà, prima e oltre che di quattro uomini e una donna, ne parla con la forza di chi non ha paura, perché non ne ha avuta e non ne avrà. Mai. Fuma le Camel, donna Tina, ma quando capisce che la stiamo per intervistare, la sigaretta che stringe tra le dita preferisce non accenderla. “Sono una donna fortunata – racconta -, perché ho la consapevolezza di sapere di avere avuto un uomo accanto che dopo venticinque anni dalla sua scomparsa mi riempie ancora di gioia”. E non crediate che sia una sognatrice: è una combattente, che non ha la minima intenzione di darsi pace, ma soprattutto di non darla a chi ha ucciso suo marito e sta provando, ormai da oltre mezzo secolo, a mettere in ginocchio questo Paese (stavolta la maiuscola è d’obbligo, perché potremmo essere un Paese, non ci manca nulla). Presiede l’Associazione Quarto Savona Quindici - il nome in codice dell’auto di scorta di Falcone sulla quale morì suo marito - ed è lei l’ambasciatrice itinerante della Memoria in marcia, il viaggio che i resti della carcassa della Fiat Croma dilaniata dal tritolo mafioso e dalla connivenza delle Istituzioni sta facendo, lungo l’Italia, dallo scorso 1° maggio, da Peschiera del Garda. Oggi, 4 maggio, quel che resta di quella vettura e tutto ciò che significa, dopo essersi fermata nei giorni scorsi a Sarzana, ha fatto tappa a Pistoia, per poi proseguire per Rimini, Monte San Giusto (Mc), Napoli (terra di donna Tina, cresciuta agli Spagnoli), Vibo Valentia, Locri (Rc) e per arrivare, il prossimo 21 maggio, alla Caserma Lungarno di Palermo, da dove partì quel 23 maggio 1992 senza fare più ritorno e dove si fermerà, stavolta per sempre, trasformandosi in un monumento che donna Tina gradirebbe rappresentasse un monito e non una semplice, retorica, occasione da parata. “C’è ancora molto da fare – aggiunge Tina Mortinaro, con la Camel ancora spenta tra le dita e con il sorriso che buca le nostre paure -, ma dei passi in avanti sono stati compiuti. Certo, la mafia vive ancora attorno ai soldi e più ce ne sono, di soldi e più è facile incontrarne, di mafiosi. Ma noi che siamo ancora vivi, non ci arrendiamo e continuiamo a girare, soprattutto nelle scuole, perché chi non ha visto o non ricordi, sappia cosa è successo veramente: chi non conosce il proprio passato è condannato a riviverlo. Da quella strage in poi, però, purtroppo non l’ultima, la coscienza dei palermitani, ad esempio, è cambiata radicalmente: sono in molti, oggi, a dire che la mafia è solo una montagna di merda: prima, lo pensavamo in tanti, ma eravamo in pochi ad avere il coraggio di dirlo”.

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