PRATO. Non è l’opera più rappresentativa di Aristòfane, Pluto. Anzi, è quella che i critici dell’epoca segnalarono come il manifesto della decadenza, ma Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni, per progetto Zeta, prodotto dal Metastasio, hanno adottato una delle commedie tramandateci del drammaturgo pacifista per ambientarla in modo specifico, geografico, toponomastico e farne una rappresentazione, Plutocrazia, appunto, che è, contemporaneamente, un naturale saggio teatrale e un’indagine di mercato sociale, quello che oggi, proprio come allora, condiziona e opprime i rapporti interpersonali, prima che sociali. Sul palco del Magnolfi di Prato, poi, occorreva ci fosse anche un jolly: poliedrico, multitono, un saltimbanco del teatro, una macchina da recitazione, una palestra di duttilità scenica, Ciro Masella, insomma.
Nella centrifuga della rilettura, l’opera conclusa ha sfruttato, con dovizia storica, analisi psicologica e tendenza di mobilità sociale del cosmo cinese a Prato effettuate da un pool composto da Fabio Berti, Sara Iacopini, Valentina Pedone e Andrea Valzania, che sempre al Magnolfi, durante i giorni di trapasso dall’inverno alla primavera, hanno lavorato sulle interviste, quelle che poi rappresentano il fondale del palco al termine della rappresentazione. E per dare maggior spessore al lavoro, per esasperare il concetto di lavoro-ricchezza, che presuppone integrazione/sfruttamento, sfruttamento/umiliazione, umiliazione/perdita del lavoro, perdita del lavoro/integrazione fallita, oltre che confidare sulla psicopatica composizione musicale di Patrizio Barontini, che adotta la ritmica indecenza timbrica dei telai come colonna sonora, l’ideazione ha anche preso in prestito alcune figure esemplari di questa secolare dicotomia, come Belli, Chomsky, Parise e Marx, dando alla rappresentazione una paradossale e irrisolta continuità storica. Lo spettacolo, al di là del valore sociale – ci auguriamo che il Comune di Prato ne faccia tesoro di questo lavoro, portandolo nelle scuole: è lì che si gettano le basi della civiltà, della tolleranza, della conoscenza, del rispetto, della libertà e del teatro, da ultimo, ma non certo ultimo – risente, in alcuni momenti, un po’ troppo della pesantezza missionaria dell’opera, rischiando l’autoreferenzialità e allontanandosi, pericolosamente, dalle percezioni del pubblico. Che viene, fortunatamente, presto nuovamente coinvolto e accompagnato fino alla fine, dove nessuno, al di là della residenza pratese, non può non riconoscersi in quelle dinamiche esistenziali che caratterizzano la nostre società contemporanee. Consigliamo alla produzione, in tono profondamente amichevole, di consentire, ai critici che verranno dopo di noi, di scattare qualche fotografia: quelle fornite sono esageratamente brutte!