PISTOIA. Una storia antica, senza sussulti, men che mai grida. Una storia antica ambientata poco distante da dove si consumò, alle soglie del diciassettesimo secolo, in una casa di campagna, sulle rive dell’Ombrone, a due passi, è davvero il caso di dire, di San Michele in Cioncio, dove Massimo Grigò, Annibale Pavone e Maurizio Rippa, con la musica ispiratrice, conduttrice e risolutoria dello strumento d’epoca per eccellenza, il clavicembalo, affidato alle cure di Manuel Gelli, hanno ambientato La ferita della bellezza, portato in scena da Giovanni Guerrieri, a sua volta adattatore del testo di Luca Scarlini. È la storia antica, così poco leggendaria, in prossimità del secolo dei lumi, di Atto e suo fratello Jacinto, l’unico maschio non evirato dal padre Domenico perché deputato alla prosecuzione chimica e nobile della stirpe dei Melani, famiglia consegnata ai posteri degli evirati cantori abili anche a rivestire il ruolo, ambiguo, di spie di corte.
Ma è sulla musica e sui suoi pentagrammi codificati in messaggi che scorre la breve, ma intensa, rappresentazione dello spettacolo prodotto dall’Associazione teatrale pistoiese in una giornata tra le più ricche di appuntamenti di questa prima edizione del Pistoia Teatro Festival. Con un trittico attoriale di navigata e sicura risoluzione, con un Massimo Grigò – che è anche l’ideatore della messinscena – nei panni di Massimo Grigò, nemmeno cucitigli addosso dalla miglior sarta dell’Universo, un sottile e altero cantore che torna da Parigi nella casa paterna della campagna pistoiese per ricomporsi al resto della famiglia e continuare, senza sosta, a tramare in favore di Luigi XIV e del suo regno. Una pagina dimenticata anche dai cultori dell’epoca e riproposta, nella chiesa sconsacrata del centro storico di Pistoia, con il gusto, sottile e professionale, di una recitazione antica forse più del testo, dove Massimo, Annibale e Maurizio spolverano, con imbarazzante puntualità, tutti i segreti delle scuole frequentate prima da studenti e poi da professori. Un’ora, scarsa, di melodia, passione, leggerezza, inesorabilità, alle penombra della luce fioca e misteriosa delle candele e lungo alcune pagine, deboli e flebili, perché poco roboanti, ma decisive, lungo i secoli successivi, del ‘700 pistoiese, racchiusa nelle vacue certezze filosofiche e nell’angosciosa trepidazione di un futuro che non tarderà ad arrivare e a sconvolgere antiche credenze.