di Mauro Pompei

PISTOIA. Il capo ieri sera, al concerto del 38esimo Festival Blues, sapeva che non ci sarebbe stato, perduto dietro un sogno adolescenziale. Così aveva chiesto a me di recensire il concerto di Alessandro Mannarino, in piazza del Duomo, a Pistoia. Io, nell'impossibilità di seguire il capo nel suo italiano pieno di svolazzi e fuochi di artificio e soprattutto nella sua infinita sapienza musicale, avevo puntato tutto sulle mie due accompagnatrici: due bimbe ricce, di sette e cinque anni. Affidando a loro il racconto dell'esibizione, mi sentivo al sicuro. L'inizio è stato incoraggiante. Appena arrivati in piazza (con un discreto pubblico a colorarla) hanno iniziato una dotta disquisizione sui cognomi che sembrano nomi. Per loro sarebbe stato meglio se Mannarino fosse stato il nome di battesimo: "Babbo, come con Alessandro Tomasi, non era meglio se si chiamava Tomasi di nome"? Poi, dal fumo del palco, sono emersi lentamente gli undici componenti del gruppo del cantautore romano (classe 1979) e una sbandieratrice.

È partita la musica. Quindi è comparso lui, con il solito cappello, tutto vestito di nero, sopra un palco tutto nero, con il pugno chiuso. Da qui in poi, le accompagnatrici hanno cominciato a manifestare disappunto. Le canzoni erano dell'ultimo album e loro, puriste degli esordi, non le conoscevano. Così, la prima mezz'ora del concerto è trascorsa con la più piccola sulle spalle e la più grande attaccata alla mia gamba destra, entrambe a interrogarmi compulsivamente: "questa la conosciamo"? Lentamente siamo scivolati sempre più indietro, verso la tribuna, ci siamo messi a sedere e la più piccola si è addormentata come un sasso. Anche la più grande cominciava ad accusare, ma resisteva con tutte le sue forze. Mentre il concerto avanzava, le canzoni erano sempre più vicine al passato tanto desiderato dalle ricce. Grazie al sonno a bocca aperta della più piccola, io e la più grande potevamo abbracciarci in grasse risate, come quelle che ci siamo fatti quando il pubblico ha intonato e sbagliato la strofa di una canzone. Quando anche la grande stava per gettare la spugna, Mannarino ha infilato tre canzoni consecutive che per la riccia grande rappresentano l'abc del cantautore romano: Scetate vajó, Me so 'mbriacato, Marylou. Non è riuscita a ballare, ma ha ritrovato l'energia per fare la strada a ritroso e i quattro piani di scale per arrivare a casa. Oggi la più grande mi ha detto: "Ieri sera Mannarino non ha cantato quella che fa e sono diventato un bellissimo cinghiale, insomma quella che parla di te". La più piccola invece: "Ieri sera tu e Sofia siete saliti sul palco e avete cantato quella che dice ce dicono de vive da morti per poi resuscità". Io non ho detto nulla. Ho solo pensato che è difficile scrivere la recensione di un concerto e ancora più difficile provare a essere un padre.

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