PRATO. Non c’è alcuna relazione tra Francesco Nuti comico/attore/regista e Francesco Nuti pittore. Certo, è vero; che il saltimbanco fiorentino fosse ossessionato dalla vita e dai suoi tranelli, lo si capiva anche quando esordì, sbilenco, con Alessandro Benvenuti e Athina Cenci con i Giancattivi; una comicità surreale, convulsa, che si materializzò e raffinò ulteriormente poi quando decise di lasciare i due compagni di avventura per cimentarsi con il cinema, da protagonista prima e da regista poi. La pittura è stato un suo angolo segreto, segreto e personale fino a quando la vita non gli ha messo di fronte un ostacolo insuperabile. Da allora, le sue ossessioni, la sua voglia di libertà sono state veicolate da quelli che gli sono rimasti accanto e che lo stanno seguendo in questo doloroso percorso a ritroso.

È proprio la famiglia Nuti infatti che ha desiderato che una parte della sua collezione, non a caso segreta, recita il titolo della mostra, venisse esposta. A raccogliere l’invito, è stato lo studio Lato di architetti di Prato, con sede e salone espositivo in piazza San Marco, un ex capannone industriale trasformato, in maniera particolarmente calda, seppur spoglia, in un salone, dove da qualche anno si susseguono le performance di artisti di varia natura e genere. Dallo scorso 13 luglio e fino al 4 agosto e, in seconda battuta, dopo la chiusura estiva, dal 28 agosto fino al 15 settembre, in visione gratuita per il pubblico, ci sono i dipinti di Francesco Nuti; quelli della prim’ora, subito dopo il 1990, l’anno nel quale, per un dono (una scatola di acquarelli) ricevuto da Isabella Ferrari, Francesco Nuti scoprì la propria angolazione artistica; quelli della consapevolezza e quelli dopo l’incidente, che sono forse, questi ultimi, i più forti, i più espressivi, i più dolorosi. Minimo comune multiplo dell’intera mostra, comunque, prima, durante e dopo, il pinocchismo, che è probabilmente, il risvolto più rappresentato e rappresentabile del genere umano. Non è la prima volta, di Francesco Nuti pittore, a Prato; già nel 2011, non distante dal Salone Lato, all’Opificio JM di Malkovich, l’entourage dell’artista organizzò la sua mostra Dipinti e disegni 1990-2011, nella quale però, la visualizzazione pinocchiesca non prendeva il sopravvento sulle altre opere. I nasi lunghi, appuntiti, quasi sempre sporgenti da un lato, che caratterizzano questa in corso, non rappresentavano, all’Opificio, il tratto determinante. In questa invece, voluta dalla famiglia, i pochi disegni esposti sono quanto di più intimo e rappresentativo possa esserci della vita dell’autore: alcuni parenti, il Pinocchio rosa (premessa scenografica, quasi preveggente, del celebre OcchioPinocchio), l’orologio del padre appeso perpendicolarmente e racchiuso in una cornice povera che segna mezzogiorno (momento della nascita di Francesco), ma anche mezzanotte (senza con questo scomodare l’arguzia di Groucho Marx), alcuni dipinti in acrilico che denunciano la maturazione pittorica di Francesco e i disegni effettuati con la mano sinistra, quella lasciata parzialmente libera (fino a qualche tempo fa, ora non più) di decidere e soffrire: ancora Pinocchi, ancora autoritratti, scarni, sofferenti, indifesi, terminali. Sembrano gli scarabocchi di un adolescente in età prescolare, senza il senso della misura, della lontananza, della tragedia e della commedia. E invece sono i disegni di Francesco Nuti oggi, che somigliano - e non sta fingendo - a quelli di un bambino.

Pin It