SERRAVALLE (PT). Era emozionato, ieri sera, Luigi Tronci. E non l’ha nascosto, per fortuna. Soprattutto quando Nico Gori, un talento naturale dei fiati (mattatore la sera precedente, sullo stesso palco), lo ha chiamato sotto i rifltettori di Serravalle Jazz (quarta e ultima serata di questa sedicesima edizione) per consegnargli, dalle mani di Tullio De Piscopo - per lui, aggettivi, non ce ne sono più: sono già stati usati tutti -, il premio Renato Sellani, istituito, tre stagioni fa, proprio dall’entourage del Serravalle Jazz sotto esplicita pressione del clarinettista e saxofonista fiorentino, che proprio con Renato Sellani e la voce di Stefania Scarinzi (anche lei sul palco a omaggiare Luigi Tronci) ha avuto il piacere e l’onore di condividere l’ultima tournée dell’indimenticabile pianista. Era emozionato, Luigi Tronci, perché nonostante abbia superato gli 80 anni e possa esporre e vantare un palmares di riconoscimenti internazionali attribuitigli dalle fonti più autorevoli della musica disseminati lungo la sua carriera di artigiano del suono – cimeli che potete osservare andandolo a trovare nel suo laboratorio, la Ufip, di Sant’Agostino, a Pistoia -, quando la sua città, Pistoia, appunto, si ricorda di lui, Gigi, come lo chiamano tutti, si intenerisce.
Gli succede perché è successo troppe poche volte, in una vita spesa per la causa timbrica, nonostante il peso internazionale che ricopre, che la sua città si sia ricordata del suo incommensurabile contributo artigianale e culturale e ne abbia fatto sfoggio, ringraziandolo, riconoscendogli un valore assoluto, sfruttandolo per le evenienze più importanti, in un mix, letale, di ingratitudine e miopia semplicemente devastanti. Sul palco, a consegnare nelle mani di Gigi l’Oscar del Serravalle Jazz - l’ambita microriproduzione di un pianoforte, in memoria di Renato Sellani -, oltre ai già citati musicisti, anche l’anziana compagna del pianista scomparso, Maurizio Tuci, il deus ex machina della manifestazione e alcune rappresentanti della neoeletta giunta del Comune. Prima e dopo, però, solo e soltanto jazz, solo e soltanto allegria; Gabriele Evangelista, Stefano Tamborrino e Dan Kinzelman hanno sfoggiato il loro dottissimo repertorio strumentale, per poi lasciare il campo alla genialità di Tullio De Piscopo, un ragazzo di 71 anni che ha avuto l’onore, in mezzo secolo di concerti, registrazioni e collaborazioni, di aver suonato con alcuni dei più grandi esponenti della musica internazionale. Ieri sera però, l’infaticabile polipercussionista – testimonial ufficiale della Ufip di Luigi Tronci da circa cinquant’anni, praticamente dagli esordi - ha preferito non inabissarsi in uno dei tanti rivoli jazz, ma ha allietato il pubblico, numeroso come non mai, per questa 16esima edizione, con il suo inguaribile clownismo, allestendo comunque un concerto di solita e rara bellezza; un ritmo incandescente, anche se affidato al prologo delle note struggenti di Quando, quando, di Pino Daniele, un compagno di viaggio, di musica e amicizia che Tullio De Piscopo non perde occasione di ricordare. Con lui, la sua band, il Tullio De Piscopo Quintet, formata da Gianluca Silvestri alla chitarra, Cesare Pizzetti al basso e al contrabbasso, Fabio Visocchi alle tastiere e, quando la divinità lascia lo scranno per cantare e intrattenere il pubblico, Matteo Mammolo Mammoliti alla batteria: dal jazz, certo, al jazid, passando per il rock and roll ma soprattutto immergendosi, fino al collo, nel funky, genere che si addice contagiosa allegra professionalità di Tullio De Piscopo soprattutto in onore dei lieti congedi impreziositi dalla possibilità che siano solo degli arrivederci, della memoria di Renato Sellani e dell’indimenticabile Pino Daniele e, soprattutto, della felicità di Luigi Tronci. E delle sue inseparabili bretelle.