FIRENZE. Il secondo spettacolo in scaletta, Viceversa, abbiamo avuto la fortuna e il piacere di vederlo accanto agli sguardi, rapiti e entusiasti, di Iris Berdicchia, Francesca Bruno, Dora Del Fabbro, Zara Franceschini e Alice Piga (ordine alfabetico, eh), le cinque danzattrici del Gruppo giovanile della Compagnia Valerio Bellini che avevano da pochissimo terminato la loro esibizione, Cellule, balletto con il quale si è aperta, venerdì 22 dicembre, al Cantiere Florida di Firenze, la serata Hip Hop is alive. Emozionanti: tanto gli spettacoli che l’adrenalina, pura, che si è respirata per tutte e due le rappresentazioni, una carica e una scarica emotiva degne della fatica, concentrazione, armonia e sudore e sangue versati sul palcoscenico. Non siamo hiphoppari, ma quando ci si imbatte nell’armonia, figlia (in)naturale dell’applicazione, dello studio, delle ripetizioni, della pazienza, del sacrificio, della volontà e della bellezza, non si può che lasciarsi trasportare dal flusso fino all’altra riva del fiume, dove arrivano solo quelli che sanno nuotare, quelli che non si danno per vinti e quelli che si fidano delle correnti.
E dire che la serata non pensavamo riservasse tante graditissime emozioni. A cominciare dal pubblico: giovanissimo e inquadratissimo (taglio di capelli irreggimentato, scarpe slacciate, slang da montoni di Panurgo), quello degli addetti ai lavori e noiosissimo quello della nostra generazione, quella leva frustrata e fastidiosa – decenni ’60 e ’70 - che non riesce a parlare sottovoce, parlando tra l’altro delle solite cose (sognavo questi quattro giorni di fila: ho il terrore che domattina mi sveglierò e sarà già il 27 dicembre! Domenica, il pesce, dovrò farlo surgelato, perché fresco, dove lo trovo? regali? Nulla, non mi hanno ancora accreditato la tredicesima; non farmi vedere quelle foto: avrò avuto vent’anni, non mi riconosco nemmeno). E invece. Spente le luci di sala e annullato quel brontolio infernale di sottofondo, l’attenzione si è potuta concentrare, fino all’estasi, sulle protagoniste, cinque giovanissime con attributi e voglia di sfondare da vendere. La strada è in salita e a che livelli di ripidità; ma non possono scoraggiarsi di fronte a quello che vedranno e che dovranno vedere, perché hanno tutti i numeri per andare lontano, non foss’altro nella vita: se questo è l’hip hop, oltre che essere vivo, possiamo anche affermare, senza timore di venir contraddetti, che goda di ottima salute! Perché dopo le pischelle è stato il turno di quelle un po’ più grandi, ma nemmeno tanto, eh: Teresa Bagnoli, Valentina Cipelli, Paola Iannone, Laurent Minatchy (unico ragazzo delle due compagnie), Rebecca Realz Turini e Cristiana Sabbatini (l’ordine è quello di prima, alfabetico), appartenenti al Meltin Pot Dance Company, per la regia e coreografia di Lisa Brasile e grazie al disegno luminoso, come per il primo spettacolo, offerto da Gabriele Termine. I presupposti dell’incipit, nel suo svolgimento, si sono perfezionati, rinvigoriti, esaltati, fatti suono e corpo, minaccia e liberazione. Sul foglio di sala, gli addetti alla comunicazione hanno cercato di spiegare, riuscendoci perfettamente, gli intenti, le movenze e il plot delle esibizioni. A conti fatti, però, senza voler dissacrare nulla e nessuno, i due titoli, si sarebbero anche potuti invertire: il risultato, meraviglioso, sarebbe stato lo stesso. Due dimostrazioni di danza contemporanea che trasudano studio e conoscenza, soprattutto della danza storica e classica, della quale ne facciamo, almeno noi, volentieri a meno, ma che non si può in alcun modo e in alcun caso omettere; ce ne va la credibilità, la sintesi, il futuro. Virgilio Sieni, del resto (ne abbiamo preso uno a caso, uno dei più espressivi), della sintesi di quello che appartiene al corpo e alle sue possibilità ne ha fatto un credo, il credo. Ci sono tanti allievi, in circolazione; irreggimentati nella chioma e nell’abbigliamento, vero, ma animati da una volontà straordinaria, che li ha già catapultati laddove si iniziano a vedere i risultati.