PISTOIA. Ci sono lutti che si metabolizzano più lentamente di altri. La morte di Pino Daniele è una di quelle scomparse che fa propriamente al caso. Soprattutto perché riprodurre la melodia, il suond, la carica e lo slang (cantava in si bemolle; i vocalisti non si possono dar pace) dell’indimenticabile cantautore napoletano, trasformare cioè il ricordo in un tributo, è opera particolarmente laboriosa, complessa. Gennaro Scarpato (unico conterraneo del virtuoso musicista napoletano) e i lucchesi Meme Lucarelli e Andrea Gorza, tre apprezzatissimi strumentisti che da tempo, oltre che suonare ovunque al fianco di mostri sacri, portano avanti un’idea/progetto (The Link), hanno deciso, mossi da singole/collettive insdebitabili riconoscenze nei confronti dell’innovativa poesia strumentale di Pino Daniele, ricordare e riproporre l’immortale ripercorrendo una micro scia della sua enorme e sontuosa discografia, riassumendo in due ore scarse di riletture alcuni suoi capisaldi, che appartengono – inutile provare a disquisire – ai suoi primi quattro album: Terra mia, Pino Daniele, Nero a metà e Bella ’mbriana, registrazioni con le quali l’autore partenopeo si è guadagnato un insostituibile posto al sole della musica planetaria.

Lo hanno fatto anche ieri sera, nella sala della Fondazione Tronci, a Pistoia, gremita di spettatori inscindibilmente legati alla poesia, all’innovazione e al sound di Pino Daniele, rivivendo, con le forbite interpretazioni e riletture dei tre strumentisti, alcune memorabili pagine della sua carriera. Non vi sciorineremo la scaletta delle esecuzioni; questo racconto serve solo e soltanto a chi, presente all’esibizione, ha ancora voglia, leggendoci, di stare ancora un po’ in sua compagnia, con la sua lungimirante musica, la sua poesia rivoluzionaria e anticipatoria, il suo indimenticabile groove. Offerta di pregevole fattura quella proposta dalle mille percussioni di Gennaro Scarpato, dal basso elettrico di Andrea Gorza e dalla chitarra e la voce di Meme Lucarelli, sempre più vicino, quest’ultimo, a nostro avviso, alla fisiognomica musicale di Lee Retenour, abile ad assecondare gli spartiti musicali della divinità in oggetto, senza provare a rincorrerlo in quel labirintico diaframma che lo ha reso difficilmente riproponibile. È stato un tributo commovente, quello promosso dall’associazione Culturidea, che ha ricacciato nell’immaginario collettivo del magnifico dolore della perdita di uno dei musicisti più importanti del dopoguerra un’intera platea, anche l'altra sera, come succede ormai da tre anni, incapace di arrendersi alla tragica evidenza; che Pino Daniele non ci sia più. Ma è proprio in nome e in virtù dell’immortalità laica che si può serenamente affermare e concludere che Pino Daniele continui a segnare il tempo della nostra musica, ci delizi con le sue poesie e ci regali ancora un sorriso, quella smorfia tragicomica che appartiene, chimicamente, all’allegria, anzi all’Alleria, che è quel brevissimo lasso di tempo nel quale ognuno di noi, a tu per tu con la propria esistenza, farcita di gioie e dolori, amore e odio, rabbia e rassegnazione, ha bisogno e voglia del sole, per asciugarsi e di un’ora, per ricordare.

 

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