PRATO. Non tutto quello che vedremo, poi, dal prossimo ottobre fino alla primavera inoltrata del 2019, sarà sensazionale, meraviglioso, o, per dirla teatralmente, indispensabile, ma ogni volta che non verremo coinvolti quanto avremmo voluto, recensiremo senza indulgere, certo, ma senza essere corrosi dal dubbio che si trattasse di una rappresentazione esentata dall’essere visionata dalle forche caudine di chi, in questo lavoro, ci crede. Veramente. Onestamente. Socialmente. Politicamente. Di tutto il resto, tutto quello che è stato detto stamani, nel cortile interno di Palazzo Pretorio, a Prato, dove i vertici aziendali del Metastasio hanno presentato, con una non certo breve, ma gradevolissima (location sfiziosa, buffet sublissime) conferenza stampa, la prossima stagione del Met, Fabbricone, Fabbrichino e Magnolfi, vi informerete direttamente sul sito, se ne avrete voglia o se sarete interessati.

A noi che c’eravamo, perché volevamo esserci, ci preme segnalarvi gli ultimi istanti dell’inevitabile carrellata di ringraziamenti che si sono inanellati senza soluzione di continuità tra tutti quelli che, oltre Franco D’Ippolito, Direttore del Metastasio, Massimo Bressan, Presidente della Fondazione Teatro Metastasio, Monica Barni, vicepresidente della Regione Toscana nonché assessore alla Cultura, Matteo Biffoni e Simone Mangani, Sindaco e assessore alla Cultura del Comune di Prato e Massimiliano Civica, consulente artistico, per il triennio che verrà, alla Direzione del Metastasio (i relatori ufficiali), sono intervenuti. L’attenzione infatti iniziava leggermente a scemare, complici i primi languori dell’appetito, l’irrequietezza chimica degli animali e la voglia, subito dopo, come conviene, di inciuciare spudoratamente ma all’ombra di un irreprensibile e rispettosissimo clima sociale, quando Franco D’Ippolito e Massimiliano Civica si sono passati il testimone delle intenzioni e il microfono per ricordare ai presenti come il Teatro, pubblico, debba avere lo stesso tenore sociale di un ospedale, pubblico, una scuola, pubblica, posti nei quali non è il profitto a decretarne il successo, ma la salute, la crescita, dunque, il benessere, la civiltà, la consapevolezza. Ponendo l’accento sull’inevitabile ruolo del medico, del maestro, dell’attore: che non possono essere bravi come quelli che curano, che educano o che intrattengono, ma migliori, migliori dei propri pazienti, dei propri scolari, dei loro spettatori. Le parole di Massimiliano Civica potremmo e dovremmo trasportarle in ogni altro contesto, ma soprattutto dovremmo fare in modo che anche noi, nel nostro piccolo quotidiano, che è molto più grande di quanto si creda o di quanto vorremmo che non fosse, potessimo dire la stessa identica cosa della nostra vita. Succede infatti esattamente lo stesso quando siamo figli, amici, compagni, amanti, genitori, inquilini, viandanti, automobilisti, lettori, elettori: ricopriamo, sistematicamente un ruolo dal quale, oltre la dignitosa sopravvivenza, non dobbiamo estrarre profitto, ma libertà, coscienza, impegno, stimolo, determinazione. A Teatro, questi aspetti, si esaltano in maniera esponenziale, diventando specchio e insulto. Il Teatro, pubblico, che abbiamo nelle nostre città è, probabilmente, il teatro che come pubblico meritiamo. Certo, occorrono i numeri che facciano registrare come minimo il pareggio; occorre che le autorità preposte ai finanziamenti sappiano veicolare a chi di dovere le risorse, è opportuno che il Teatro non sia solo raccoglitore di eventi, ma anche e soprattutto produttore, ma è soprattutto indispensabile che chi rappresenta il Teatro sia migliore, affinché il suo pubblico, composto da medici e pazienti, professori e studenti, genitori e figli, elettori, siano, a loro volta, migliori, cittadini migliori, quelli che tengono pulito il pezzo di marciapiede che sta di fronte alle proprie abitazioni, perché solo così, le città, sono pulite.

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