PISTOIA. Anni fa, per rovinare una festa, ci saremmo alzati di notte, uscendo di casa anche in pigiama. Ma siamo invecchiati e da un po’ di tempo a questa parte ci accontentiamo di scrivere, per provare a rovinare le feste. E poi, al cospetto di una vera e propria istituzione cinematografica popolare come Carlo (Gregorio) Verdone, ospite onorato - al Cinema Roma d’essai di Pistoia -, gradito e applauditissimo della V edizione di Presente Italiano, i nostri dissensi on line sarebbero stati fraintesi con protagonismo gratuito; per questo, ci siamo limitati a prendere appunti. E a scrivere: che non siamo affatto d’accordo. Vero che il cinema è cambiato, che le sale ormai non traboccano di spettatori, che i giovani, soprattutto loro, i film, li scaricano più o meno legalmente, guardandoseli poi sui telefonini o sulle tivvù domestiche, collegate ai computer, ma la verità vera è che scarseggiano i fuoriclasse e quando ne esce uno, salvo giuramento di allinearsi, prima di morire, le major, lo boicottano. Però, Quentin Tarantino, il prologo della propria antologia, Le Iene, e l’opera prima Pulp Fiction, le ha composte, rispettivamente, a 29 e a 31 anni e Xavier Dolan, collega francocanadese ancor più ispirato dell’americano, il suo capolavoro Mommy, a 24. Senza dimenticare il sudcoreano Kim-Ki-duk, che da Ferro 3, la casa vuota in poi, ha solo e soltanto inanellato capolavori, quelli che dopo averli visti stai male, fisicamente.

Carlo Verdone, invece, Compagni di scuola, il suo film più bello, tosto, corale, l’ha scritto alla soglia dei quarant’anni, prodotto da un volpone, non certo uno scopritore di talenti, come Mario Cecchi Gori e solo dopo aver fatto copia/incolla dei suoi fortunatissimi personaggi televisivi con Un sacco bello e Bianco, rosso e verdone, che restano, comunque, pietra miliare della comicità italiana e per i quali non smetteremo mai di essergliene grati. L’impressione, insomma, è che Carlo Gregorio Verdone (il secondo nome lo si deve al fatto che lui sia nato il 17 novembre e che i nonni, scaramantici, gli abbiano voluto dare anche il nome della fortuna), non sarebbe potuto finire che al cinema; per cause di forza maggiore. Figlio e nipote di artisti, ha sempre avuto il culo di frequentare ambienti privilegiati e nonostante lui, a vent’anni, in sella alla propria Vespa truccata, si sentisse libero, leggero e realizzato, le porte del cinema, oltre che aprirsi al suo passaggio, lo hanno anche invitato a entrare. Onde evitare inconvenienti, sgombriamo il commento da inopportuni ridimensionamenti: l’emigrante lucano, il marito psicotico, il figlio dei fiori, il nipote rincoglionito, il coatto sparaballe sono lo specchio di uno spaccato sociale generazionale fotografato, chirurgicamente, con tanto di zoom e grandangolo, contemporaneamente. Poi, però, l’attore più in vista del cinema italiano, affezionato al Psi di Bettino Craxi e poi al Pci-Pd di chiunque, indistintamente, ne abbia posseduto lo scettro, ha iniziato a metter in cascina una serie quasi innumerevole di storie a lieto fine, con lui fedele rappresentazione della propria paura e delle sue ansie, amante inaffidabile, padre sconsiderato, marito buggerato, sempre maldestro, sempre perdente, un buono incapace di qualsiasi cattiveria al quale, la storia e i lieto fine han sempre dato ragione. Ora però, dopo 42 anni di onoratissima carriera, nella quale ha avuto anche il merito e l’acume di scovare ottimi personaggi cinematografici e soprattutto ora, ma da tempo, che il successo, la fama e il portafogli sono ormai al sicuro, uno sfizio cinematografico, invece che ricordarci che Roma è sporca oltre ogni ragionevole disservizio comunale, potrebbe anche toglierselo, quello che potrebbe decretargli immediatamente il successo senza aspettare la digestione dei botteghini, riportare i giovanissimi nelle sale e sentirsi dare, dall’intero palazzo che l’ha eletto giullare di corte, dell’ingrato.

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