di Federico Martini

Sono un uomo con una disabilità evidente in mezzo a tanti uomini con disabilità che non si vedono. Fu con queste parole che Ezio Bosso, musicista, pianista e direttore d’orchestra, decise di esordire al festival di Sanremo all’edizione del 2016. Nato a Torino il 13 settembre 1971, Ezio si innamorò della musica all’età di quattro anni, l’unica disciplina che riusciva a coinvolgerlo a pieno. Per seguire la sua passione, a 16 anni sceglie di andare via di casa e debutta come solista in Francia, ove incontra Ludwig Streicher, contrabbassista dei Wiener Philharmonic. Il musicista austriaco, avendone notato l’innato talento, lo indirizza all'Accademia di Vienna, dove studia contrabbasso, composizione e direzione d’orchestra. Appena uscito dall’Accademia, da contrabassista, suona in importanti formazioni, tra cui la Chamber Orchestra of Europe di Claudio Abbado. È proprio con questo luminare della musica italiana e internazionale che nasce una grande amicizia. È dopo la sua morte che, nel 2017, Ezio diventerà testimonial dell’eredità della sua ultima creatura, l’Associazione Mozart14, nata a Bologna per portare la musica nelle carceri e negli ospedali.

La sua malattia inizia nel 2011; prima una grave neoplasia, poi la malattia neurodegenerativa che in breve lo porterà sulla sedia a rotelle. In questo periodo intensifica l’attività di direttore d’orchestra alla guida dell’organico della Fenice di Venezia e del Comunale di Bologna. Infine crea il suo gruppo di musicisti, la StradivariFestival Chamber Orchestra, poi ribattezzata Europe Philharmonic. Il momento più difficile da sopportare per Ezio arriva però solo di recente. È proprio lo scorso settembre che deve dire addio al pianoforte; le sue dita non rispondono più bene, i dolori, a forzarle sui tasti, si fanno fatti insopportabili. Non voglio parlare della sua data di morte, accettatelo. Ezio Bosso non è mai morto e mai morirà. Apparentemente inetto per via della malattia con cui era costretto a convivere, il Maestro non ne è mai stato succube. Quell’esile corpo umile, fragile e leggero lo accompagnava fino al momento in cui veniva fatto accomodare sul predellino del direttore. Su quello sgabello, Bosso si trasformava, indomito d’innanzi a tutto e inferiore solo alla musica stessa che dirigeva. La sua umiltà lo rese la persona che è stata e di cui tutti ci ricordiamo. Netto sostenitore della musica libera, di proprietà di nessuno, il compositore è stato come un evangelista per le future generazioni discepole. Memorabile è la sua frase alla musica non piace il potere, che non mancava mai di dire anche d’innanzi alle autorità per ricordare che davanti alla grandezza dello spartito tutti quanti noi altro non siamo che esserini minuscoli. Il suo padre musicale è sempre stato Beethoven, un esempio che Ezio ha seguito anche per far fronte alla malattia. È qui che si vede il genio. Quel mezzo busto apparentemente sempre triste, come lo chiamava sovente, nonostante il disagio della sordità e della solitudine, è riuscito a riportare su carta non solo della musica ma soprattutto delle emozioni da cui tutti devono trarne beneficio. E così anche il maestro. La malattia è stata per lui sempre e solo un fattore limitante per il fisico, ma di certo non per la mente. La sua, disse egli stesso, è sempre voluta essere una musica al servizio del tempo, dimensione parecchio cara al Bosso, anche in certi sensi filosofo, che abbiamo avuto modo di conoscere. La vita - disse il Maestro - è da intendere come una linea retta. Una linea della quale non si conosce la fine e che è succube dello scorrere dei secondi. Tuttavia, nonostante questo tempo così crudele, ognuno di noi può scegliere come dilatarla a suo piacimento. La tristezza aiuta l’uomo a comprendere se stesso, nei suoi lati più intimi e nascosti e così anche la malattia. Non mi vergogno a dire che quando ho appreso la notizia della sua scomparsa sono stato molto male, come fosse un familiare, un amico. Non ho potuto non ricordare le sue parole dette durante una conferenza a cui ho avuto l’onore di assistere. Un personaggio tanto felice quando fa musica, quanto triste e sofferente nella vita di tutti i giorni. I suoi occhi non sono mai gli stessi. Quando dirige sono lucidi, fieri, compiaciuti e pieni di felicità, quando si ferma a riflettere nella vita quotidiana la sua espressione cambia. Le persone a cui lui vuole regalare la musica, fungendo da mezzo, diventano il suo più grande nemico. Pur non avendolo detto mai direttamente, si notava guardandolo e sentendo cambiare la sua voce, Ezio soffriva del fatto che il suo amato pubblico lo apprezzasse soprattutto in quanto malato e non per le proprie capacità. Diciamolo chiaramente: il Maestro non ha commosso tutta Italia per la musica che faceva ma per la sua malattia. Cosa che ha sempre detestato e cercato invano di dimenticare. Io non so se sono felice o triste, so solo che mi tengo ben stretti i piccoli momenti di vera felicità, della mia infanzia. Nonostante tutto il dolore che ha provato, la malattia non è mai stata il male più grande che Ezio ha dovuto sopportare. Cosa c’è di peggio? Rendermi conto di come alcuni, purtroppo anche cosiddetti colleghi, usino la mia condizione fisica per denigrarmi. La patologia vera è questa. Le disabilità più gravi non si vedono, i veri malati, o i sani cronici”, come li chiama il mio amico Bergonzoni, sono loro”. Più volte il musicista ha riflettuto sui miracoli che la musica riesce a compiere. Tutti quanti noi sappiamo sentire, ma solo in pochi sanno ascoltare. La musica ha questo ruolo: renderci consapevoli che dietro al semplice udire c’è una storia. La storia di un’epoca, di una cultura, dell’unione fra individui, della società, dell’artigianato. Ed è solo capendo questo concetto che il sentire si trasforma in ascoltare. Ora quest’uomo non c’è più fisicamente ma, in quanto umani, sappiamo bene che l’anima non ha bisogno del corpo per vivere in eterno e di certo questa sua purezza non è mai passata inosservata e non verrà mai dimenticata. Voglio ricordarti così Ezio. Con la bacchetta nella mano destra e con la mano sinistra sul cuore mentre contempli, nonostante le difficoltà, la cosa che ti ha sempre reso libero da tutto e da tutti, ma che non ti ha soprattutto mai lasciato solo. La musica. Ciao, Ezio.

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