di Francesca Infante
È GIUSTO aver lavorato senza ricevere riconoscimenti? È giusto essere considerati disoccupati dallo Stato, quando tu non ti senti affatto disoccupato? È giusto essere invisibile per ogni Istituzione? È un giusto che i giovani siano appesi a un filo, che rischia di rompersi e rompere ogni loro sogno? Un filo che se prima era sottile, adesso è quasi trasparente. I dimenticati, ho deciso di dare questo nome a chi, come me, ha lavorato come uno schiavo, ha fatto salti mortali per formarsi e sopravvivere, e che adesso è disoccupato, quasi invisibile, come se, visto che il mondo si è fermato, abbia smesso di muoversi anche lui. Ma quanti tipi di dimenticati ci sono in questa situazione? Forse troppi. E visto che nessuno ci chiede niente, perché per molti siamo niente, abbiamo decido di chiedercelo da soli, perché dopo anni di studi, fatica e tanta voglia di fare (forse anche meglio di chi è a fare in questo momento), siamo stati ridotti a quelli che non possono chiedere nemmeno 600 euro, in questa situazione d'emergenza, perché il nostro capitale lavorativo non esiste. E questo ci fa sentire come se non esistesse nemmeno il nostro capitale umano. Siamo invisibili per molti, siamo quelli che possono essere sacrificati, anche se facciamo più fatica degli altri a farci spazio in questo mondo. Il mondo dell'Arte. Ce lo siamo scelti, sapendo che niente sarebbe stato semplice.
Ma sperando che in una situazione d'emergenza, pur saltando da un lavoro all'altro, accettando tirocini per formarsi il più possibile sul campo, avremmo ricevuto almeno un po' di attenzione. Mentre invece siamo stati lasciati soli a noi stessi. È il 3 giugno, e per la prima volta riscrivo a macchina, senza sapere cosa. Perché di che cosa si parla dopo una pandemia? Dopo essere stati chiusi in casa per ben due mesi, senza sapere che cosa sarebbe stato delle nostre vite? E con nostre vite intendo quelle dei giovani, come me, che non avevano un futuro certo prima e adesso sono costretti a guardare nell'abisso buio della loro vita, chiedendosi cosa hanno sbagliato fin a quel momento, e cosa sarà di loro nel prossimo futuro. Non lo sappiamo. Non sappiamo se gli anni di studio porteranno a qualcosa, se avremo mai il lavoro che sogniamo, una casa nostra, una vita di quelle, non dico perfette, ma almeno decenti, che vale la pena di essere vissuta. È molto difficile pensare positivo quando ti svegli la mattina, senza avere niente da fare, e inizi a leggere tutte le mail di rifiuto che le aziende ti mandano in risposta al tuo curriculum. È impossibile pensare al futuro senza avere un attacco di panico, quando per richiedere un contributo alla Regione scopri di dover avere più competenze informatiche di un ingegnere della Nasa, quando dopo due mesi di clausura determinate categorie (vedi tirocinanti, studenti e simili) sono state dimenticate, come se fossero spazzatura non riciclabile. State creando una generazione di pessimisti cosmici forgiati dalla consapevolezza di una vita piena di insidie. E questa è l'unica cosa che ho da dire. L'indecenza dilaga. Insieme alla noncuranza. L'unica cosa che rimane ben salda è il pensiero di essere stati abbandonati, con o senza pandemia.