di Olimpia Capitano

PRATO. In occasione del Contemporanea Festival a Prato, Alessandro Sciarroni, ieri, 27 settembre, ha portato in scena al Teatro Fabbricone, CHROMA_don’t be frightened of turning the page (invenzione, performance, Alessandro Sciarroni; luce, Rocco Giansante; drammaturgia, Alessandro Sciarroni e Su-Feh Lee; musica originale, Paolo Persia; styling, Ettore Lombardi; promozione, consiglio, sviluppo, Lisa Gilardino; amministrazione, produzione esecutiva, Chiara Fava; direzione tecnica, Valeria Foti; tecnico di tournée, Cosimo Maggini; ricerca, comunicazione, Damien Modolo; produzione, corpoceleste_C.C.00#. MARCHE TEATRO Teatro di rilevante interesse culturale; coproduzione, CENTQUATRE-Paris, CCN2 - Centre chorégraphique national de Grenoble, Les Halles de Schaerbeek), concludendo così la rassegna, dopo giornate di spettacoli che hanno coinvolto altri noti artisti, tra i quali Claudia Caldarano, Maurizio Giunti, Kinkaleri e Luna Cenere. La pratica performativa che sta dietro al lavoro di restituzione è ancora profondamente germinale ma, nonostante ciò, estremamente curata e ben costruita, dando già in premessa il senso della meticolosità e della ricerca dell’autore sul dettaglio. L’idea strutturante la pièce è quella di un viaggio psicofisico in cui il corpo ti porta, grazie allo strumento della rotazione e alla forza di una presa di posizione di difficile conduzione tecnica: la resistenza del danzatore che sceglie di lavorare sulla pratica e il concetto del turning è un atto totale, un porsi di fronte all’assenza del limite, partendo da una scelta di indagine e portandola a compimento, senza interruzioni, senza indecisioni e nonostante l’evidente complessità fisica della messa in pratica.

Proprio il superamento di quest’ultima sembra dimostrarsi il mezzo migliore per accompagnare alla prova di resistenza una rottura di barriera percettiva ed emozionale con se stessi. Intendo che, dal momento in cui Sciarroni pone il concetto del ruotare, del turning, come cardine di un’indagine sul cambiamento, verosimilmente il superamento della barriera data dalla difficile pratica di una simile costanza in rotazione, sembra condurre a un passaggio ulteriore, più intimo per l’autore ed empatico per lo spettatore. Dalla fisicità alla psiche, in un percorso che passa per una delicata transizione attraverso i limiti che il corpo sembra talvolta presupporre, ma che spesso sono apparenze auto-narrate o auto-imposte, nodi da sviscerare proprio per andare oltre nella conoscenza di sé e del mondo. Questo studio si articola all’interno del più ampio progetto Migrant Bodies, o meglio si sviluppa da esso: è partendo dall’osservazione dei fenomeni migratori di alcuni animali che al termine della loro vita tornano a riprodursi e a morire nel luogo dove sono nati, che l’artista inizia a lavorare sul concetto di turning. Il termine inglese richiama la semantica dell’evolvere, del cambiare e viene concretizzato in scena attraverso la traduzione letterale del roteare, intorno al proprio asse, in diversi punti dello spazio, con alcune variazioni ritmiche che seguono per lo più la dinamica del crescendo, fino a ridursi all’assenza di moto nel finale. All’impensabile continuità di queste rotazioni, il danzatore accompagna una manifestazione più evidente del cambiamento sul piano gestuale: senza che quasi lo spettatore possa accorgersene e creando effetti ottici interessanti, ben sposati con un ottimo gioco di luce, le braccia di Sciarroni si muovono cambiando posa, richiamando gesti, spesso anche molto chiari nel loro significato. Il suono che si intreccia a queste dinamiche di luce e movimento è a sua volta inserito perfettamente nella costruzione, rimarcando costanza e linearità. Di fronte dunque a un’intenzione di indagine chiara e un’indubbia maestria tecnica e di costruzione drammaturgica e scenografica, il cambiamento emerge come interpretazione entro un flusso che, pur variando ritmo, alla fine risulta piuttosto lineare, rendendo un senso dell’evoluzione di sé e del mondo privo di conflitto e rottura. È probabile quindi pensare che questa scelta, evidentemente non casuale, ma ben studiata, si leghi a un’accezione personale dell’indagine quasi metafisica, piuttosto scostata dalla dialettica turbolenta del reale e dal senso positivo (e verrebbe da dire necessario) del conflitto. Concetto e pratica centrale in ogni ambito relazionale dell’umano, che si intenda il rapportarsi al mondo, a se stessi o ancora alla dimensione più spirituale del sé che, a prescindere dal tipo di interpretazione concreta che si dia all’idea di uno spirito, entra appunto costantemente in conflitto con la materialità vorticosa dell’uomo. La presentazione a Prato è stata una tra le diverse in cui si articola il progetto, eventi che l’artista chiama versioni. Ogni versione prevede il coinvolgimento di interpreti differenti, così come di artisti visivi, musicisti e designer, chiamati a interpretare la stessa azione secondo la propria sensibilità, rimarcando il senso del cambiamento in maniera drammaturgicamente coerente con il progetto.

Pin It