di Marcello Bugiani
DAVVERO INASPETTATA quanto ancora inspiegabilmente assurda la morte di Kim Ki-duk, arrivata oggi ad assestare un ulteriore duro colpo ai nostri fragili equilibri pandemici. Nei prossimi giorni forse sapremo qualcosa di più intorno alla vicenda, per adesso pochi dettagli. Sappiamo che Kim Ki-duk si trovava in Lettonia per questioni personali e lì abbia trovato la morte per complicazioni legate al Covid-19, non molto altro. Comunque sia andata, perdiamo davvero un grandissimo Regista; le sue ultime prove cinematografiche non erano state memorabili, per sincerità, ma per molti anni, in quello che ritengo sia stato il periodo migliore della sua produzione artistica, ovvero la prima decade del nuovo millennio, Kim Ki-duk ha impreziosito di alcuni capolavori i Festival cinematografici europei più importanti, quali Venezia e Berlino. Fin dal primo film che ebbi modo di vedere (L'Isola al Festival di Venezia nel 2000) colpiva l'intreccio profondo tra la violenza dei personaggi e il lirismo delle immagini, la provocazione insolente di questo alternarsi continuo di delicatezza e sangue, di prati in fiore e coltelli macchiati di rosso. Riconoscibile, sempre, è rimasto il timbro coreano del suo cinema.
L'Isola era un film silenzioso, talvolta irritante nelle lunghe pause visive, obbligava sicuramente lo spettatore a uno sforzo di concentrazione assoluto; nelle pellicole successive Kim Ki-duk non ha abdicato ai suoi fondamentali, ma è cresciuto di livello. Sicuramente nella sceneggiatura (ha sempre scritto e diretto i suoi film), azzeccando personaggi e storie di memorabile spessore che lo porteranno a vincere premi importanti e alla sua consacrazione internazionale. Mi piace ricordare su tutti, di quel periodo così fortunato, Ferro 3 e Pietà (entrambi premiati a Venezia, il secondo con il Leone d'oro nel 2012), due autentici capolavori per i quali non valgono le etichette. Pur essendo due film profondamente coreani, non credo sia necessario essere amanti del genere per apprezzarne la bellezza, l'intensità e la poesia. Saranno giorni questi dedicati a ricordare il cinema di Kim Ki-duk e magari a farlo scoprire a tanti. Recentemente il cinema coreano, grazie al successo planetario di Parasite di Bong Joon-ho, è arrivato a un pubblico sicuramente più numeroso che in passato, per questo spero possa nuovamente circolare il cinema del migliore Kim Ki-duk, come giusto tributo a un genio della settima arte. La sua scomparsa ad appena 60 anni riempie di ulteriore tristezza questa assurda allucinazione collettiva nella quale stiamo vivendo ormai da molti mesi. Riguardiamo Ferro 3 e recuperiamo due ore di vita, intensa!