di Simona Priami

A ISRAELE, nei pressi di Tel Aviv, ci sono tre piani di un elegante, tranquillo e ordinato palazzo; all’interno, però, ci sono tanti personaggi, diversi per età, vissuto e personalità. Tra loro, inoltre, vivono sotterranei contrasti, profondi dolori e irrisolti rancori; soprattutto ci sono tre voci, tre intime confessioni, come se raccontare fosse liberarsi da paure, tormenti, sensi di colpa. L’esterno è ordinato, silenzioso e preciso, all’interno dominano il caos, la tensione e il rumore, come una rappresentazione dell’essere umano, come l’ipocrisia che spesso domina la nostra società. Il numero tre si ripete, il numero simbolico e ricorrente nella nostra tradizione, il numero della famosa triade freudiana: Es, Io e Super-Io, modello strutturale dell’apparato mentale, chiara manifestazione della complessità della psiche. I tre protagonisti, tramandati ai lettori da Eshkol Nevo e il suo Tre piani, raccontano, si sfogano, come fossero nello studio dello psicologo, parlano a chi sta ascoltando, a chi non c’è più, scrivono lettere, si rivolgono sempre e comunque a qualcuno, perché tenendo tutto dentro e stando soli si rischia di impazzire.

Al primo piano domina l’Es, le pulsioni, gli istinti primordiali, i bisogni più primitivi, la parte più nascosta della nostra psiche, quella che abbiamo paura a riconoscere; una coppia di giovani genitori affida occasionalmente la loro piccola agli anziani vicini di casa, apparentemente innocui; la bambina verrà rapita momentaneamente, per poi essere restituita sembra senza danni o traumi. Il padre non è convinto e scatta la sua incontrollabile rabbia, la bambina non parla e presenta cambiamenti caratteriali non apparentemente spiegabili. Leggendo la tormentata vicenda sembra che i personaggi agiscano seguendo l’istintualità e il lettore riesce così a immergersi nei loro pensieri più profondi. Al secondo piano invece, l’Io tende a conciliare i bisogni più istintivi con l’etica e la morale, cerca il punto di equilibrio tra desideri e la realtà; Hani, figura femminile sensibile, fragile e delicata, madre di due bambini, lotta con la solitudine; il marito Assaf costantemente assente per lavoro, spesso all’estero, la trascura e non la rende felice; un giorno bussa alla sua porta Eviatar il fratello del marito, odiato da Assaf stesso a causa della sua vita irresponsabile; la dolce protagonista ospita il cognato, approfittando dell’assenza del marito; troverà così un grande riparo dalla sua solitudine, un aiuto, un dialogo, arrivando a provare un profondo affetto; la follia però mina questo nuovo equilibrio. Hani moglie e madre, durante tutto il corso della narrazione, lotta costantemente tra istinto e ragione, soffrendo per questo altalenarsi di pulsioni e sensi di colpa, un personaggio che dimostra profondamente la difficoltà della psiche umana di conciliare istanze opposte. Al terzo piano non può che dominare il Super-Io, il giudice censore, l’insieme dei modelli comportamentali, i divieti sociali, la costrizione ai piaceri. Dvora, giudice in pensione, sente che la sua vita è stata un continuo sopire gli istinti dell’Es. Adesso, attraverso una vecchia segreteria telefonica, dialoga con il marito defunto, sente la necessità di ripercorrere il suo passato e gli errori commessi con il figlio, allontanatosi dalla famiglia dopo una serie di terribili episodi. Un romanzo magistrale in cui si intrecciano vite diverse, una scrittura intima e scorrevole, capace di delineare in modo elegante tutte le sfumature dell’esistenza, le sfaccettature dell’io, le debolezze umane e i lati più oscuri della mente; una scrittura che non tralascia nulla, immergendosi nella lettura vengono lentamente alla luce passioni, fragilità, paure e sofferenze di questi personaggi magistralmente costruiti dallo scrittore israeliano. Le emozioni suscitate da queste intime confessioni non potevano non ispirare il regista Nanni Moretti, siamo infatti in attesa di vedere il suo ultimo film (uscirà il prossimo 23 settembre) già acclamato dalla critica, tratto da questo bellissimo romanzo.

 

 

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