di Simona Priami

PESCIA (PT). La famosa commedia di Moliére venne rappresentata per la prima volta nel 1664. Il Tartufo, particolarmente avversa per il contenuto anticlericale, su un testo che analizza l’ipocrisia con tutte le sue possibili sfaccettature, è una brillante rappresentazione di caratteri, con duri attacchi al bigottismo. Altro titolo, era L’impostore, Tartufo; si trattava di un falso che nasconde, sotto un’apparente moralità e una eccessiva devozione, una impietosa disonestà e un animo cinico; il nome stesso è in uso nel linguaggio per rappresentare un viscido e vizioso ipocrita. Moliére, che allora aveva l’appoggio del giovane re di Francia, Luigi XIV, con questa commedia si presentò come anticipatore dell’Illuminismo, prendendo le parti del pensiero laico e andando contro la religione vista come superstizione, anticipatore anche del pensiero di Voltaire e Diderot. Il teatro Pacini di Pescia ha proposto una versione rivisitata in chiave più attuale, neoilluminista, con la traduzione di Cesare Garboli e l’adattamento e la regia di Roberto Valerio, che indossa gli abiti di Orgone. Il sipario si apre mostrando, su un inquietante sfondo nero, quasi apocalittico, e una musica assordante, due personaggi che dichiarano di essere angeli, entrambi vestiti di scuro.

Successivamente si sviluppa il famoso e divertente intreccio, partendo da una scena che richiama gli anni ‘70, sia per costumi e atteggiamenti che per la musica, forse un accenno all’inizio del periodo del consumismo e della libertà dei costumi. Subito dopo la madre di Orgone, Madama Pernella, con modi austeri, rimprovera i giovani di essere superficiali e poco devoti alla religione. Orgone ha fatto entrare nella propria casa Tartufo e ne è totalmente succube, tanto da volergli dare in moglie la giovane e bella figlia Marianna, che è chiaramente contraria e disgustata dal viscido e vizioso promesso sposo. I figli e la bella Elmira, moglie di Orgone, come la cameriera Dorina e il cognato Cleante, hanno perfettamente capito la vera personalità di Tartufo, le sue trame abiette e ignobili, il suo attaccamento al denaro, la sua falsità. Ma nonostante tutto, Orgone si ostina a credere al buon cuore del malfattore, vittima di una cieca testardaggine, fino all’eccesso; sarà proprio Elmira, femminile, maliziosa e scaltra a far aprire gli occhi al marito. Lo spettacolo presenta una conclusione inaspettata con un meccanismo originalissimo di ritorno nel tempo, con proposta di due finali: la vittoria del malvagio o l’inferno per l’angelo nero ribelle. La scenografia, lineare e razionale, è particolarmente d’effetto grazie a giochi di luce, basata su due piani verticali: in alto si intuisce un terrazzo e una piscina, simboli del divertimento dei giovani; in basso, le scene principali, sullo sfondo un interno asettico con un divano chiaro, compresa una cabina mobile illuminata dove avviene l’inganno di Elvira a Tartufo. Brillante e incisiva la recitazione di Tartufo, interpretato da Giuseppe Cederna che, sempre rigorosamente in nero, come da copione, non entra subito in scena, ma viene precedentemente evocato e descritto dagli altri personaggi; il suo linguaggio è serrato, pungente, accattivante, avvolgente; mette in mostra tutto il suo fascino per raggirare i deboli e raggiungere i suoi scopi. Senza non citare Dorina, interpretato in modo egregio da Roberta Rosignoli, la serva dinamica e brillante che conosce tutti i misteri e i sentimenti della casa e che non poteva certo mancare in questo eccellente intreccio. Bravissima anche Vanessa Gravina, che interpreta Elmira e tutti gli altri attori che si muovono in perfetta armonia sui piani della scena: Elisabetta Piccolomini, Luca Tanganelli, Irene Pagano e Massimo Grigò. Una commedia divertente che fa anche riflettere sulle varie sfumature dell’animo umano complesso e poliedrico, uno spettacolo che fa ridere, piangere, pensare ed evadere, una satira sulla società moderna consumistica e sul potere degli imbroglioni, che manipolano senza pudore gli ingenui e gli sprovveduti.

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