SI SARA’ voluta ispirare a quella pianta medicamentosa che nei paesi tropicali raggiunge e supera i tre metri o all’unica comandante dell’impero di Serse? Non glielo abbiamo chiesto, a Silvia Rigoni, in arte Artemisia, appunto, a cosa si debba il suo pseudonimo. La risposta, tra l’altro, potrebbe essere assai più banale e per questo, la domanda, non gliela porremo. Ma l’abbiamo sentita cantare, abbiamo ascoltato le parole del suo testo, Essere umano, catapultato, tre giorni fa, dalla sua voglia di spaccare su tutte le piattaforme digitali, che sono la nuova frontiera della visibilità. Detto da noi, che ci avviamo, con estrema inconsapevolezza verso i sessanta, fa sorridere, ma Silvia Rigoni, anzi, la chiamiamo Artemisia, così il nome inizia a circolare, non è più giovanissima (37 anni; la cima si intravede, dopo, inizia la discesa), nonostante dalle foto, curate da uno staff di tutto rispetto (Matteo Abbondanza, un’istituzione lombarda delle immagini), sembri poco più che una ventenne. Vive al Nord, nel profondo Nord, nel Purgatorio di Mantova (Mantua me genuit) dove le generazioni si allevano, quasi da sole, alla ricerca della migliore condizione umana, che solitamente coincide con posizioni di prestigio, ricchezza e benessere.
Artemisia, che crede nella sua musica e nei suoi ideali da quando era bambina, nonostante abbia fatto contemporaneamente altro, a un certo punto, nel mezzo del cammin della sua vita, ha deciso di sfornare il proprio manufatto. Lo ha fatto dopo aver ascoltato, studiato, assimilato e perché no, emulato, una miriade di informazioni musicali e culturali, ma ora ha reputato opportuno dire la propria. E lo ha fatto proprio ispirando il suo testo, prodotto da Gianluca Bianco e Cristiano Tommasini, di Gipsy Studio The Kitchen, la sua musica e il suo video alimentando l’utilità, anzi, l’indispensabilità, delle cose sbagliate, storte, imprecise, che la vita, in definitiva, abbia bisogno anche del male, tutto sommato, non foss’altro che per riconoscerlo, individuarlo, isolarlo e trasformarlo in energia. Per correttezza di informazioni, per sgombrare il campo da equivoci, visto che questa che stiamo attraversando è la stagione, letale, degli improvvisati, accenniamo appena che Artemisia vive nell’orbita della musica da parecchi anni, dopo essersi diplomata al Liceo Classico, laureata in Scienze dei Beni Culturali a Verona, dove ha anche frequentato l’Accademia superiore di canto. Un background rassicurante che, unito alla sua voglia/necessità di esplorare altri universi, l’ha portata a collaborazioni artistiche parecchio distanti dalla sua visione primaria della musica, contaminazioni che le hanno consentito di arrivare a un punto di partenza parecchio incoraggiante. Da qui a vederla sbattuta in prima serata televisiva con un nugolo di aspiranti influenzatori artistici, il passo può essere breve, brevissimo, così come lungo dal non compiersi mai. Questo è il passaggio cruciale, fondamentale, quello che le consentirebbe di raccontare a una platea decisamente più numerosa le sue inquietudini e perché no, farle diventare di massa. E per questo, spesso e volentieri, occorrono altri requisiti, che sovente, con la musica, con l'arte, non hanno nulla a che vedere. Good luck, Artemisia.