di Silvano Martini
FIRENZE. Improvvisa e inaspettata la scomparsa nel sonno del musicista fiorentino, ma cittadino del mondo, Leo Boni. Aveva iniziato la sua carriera alla Berklee School Of Music nel 1984, ha lasciato sconvolti i numerosi amici, appassionati e musicofili toscani. Leo non era solo un grande, enorme, chitarrista, ma era un artista che, una volta visto, non potevi certo dimenticare. I suoi lineamenti facevano della sua sagoma una maschera caratteristica inconfondibile, tanto che l'amico di sempre, il sassofonista Cris Pacini, l'altra metà dei Coguari di Cinta, duo che allietava le serate nei club toscani, si divertiva a caricaturizzare in tutte le maniere possibili sulle varie locandine che annunciavano le loro serate. Con quella sua criniera leonina, il suo inconfondibile naso e la sua voce cavernosa, che lo faceva addirittura sembrare un cantante di colore di New Orleans e un carisma da tipico artista d'oltreoceano da dove proveniva, era impossibile che, una volta visto appunto, venisse dimenticato.
Domenica scorsa, la sua famiglia ha organizzato una commemorazione presso il club Combo di Firenze, dove si sono dati appuntamento i numerosi amici e conoscenti del musicista. Il palco ha accolto chiunque volesse suonare, come la Juke Joint Band di Sauro Ravalli, formazione dove Leo suonava la chitarra da una vita; Roberto Uggiosi (nella foto di Silvano Martini), che altri non è che il 50% di Cappotto e Cammello (musica di un certo livello) incredibile duo, portato in scena per almeno tre lustri, che aveva in programma una serata proprio il giorno successivo alla notte in cui è scomparso Leo. Cris Pacini appunto, poi Emiliano Degli Innocenti e via via moltissimi altri musicisti che, con le lacrime agli occhi, hanno suonato il blues tanto caro a Leo. Particolarmente toccanti sono stati gli interventi della sorella Marina e della figlia diciottenne Anita, che lui amava tanto, al punto da cambiare immancabilmente il testo di una canzone di Stevie Wonder, Isn't She Lovely, da Life is Aisha a Life is Anita. Anita, che con il suo intervento, è riuscita a far commuovere tutti i presenti. Come quando ha raccontato di come Leo le dicesse guarda che babbo che t'è toccato, facendo allusione al suo essere musicista e artista a tutto tondo, in fondo anche un po' zingaro, un gipsy alla Jimi Hendrix in salsa toscana, o meglio come avrebbe sicuramente detto lui, un Jimi Hendrix al lampredotto e lei, tra i singhiozzi, ha detto di essere stata orgogliosa di aver avuto un babbo così. Blues, swing, gypsy jazz, soul, persino manouche, il tutto però condito sempre da una vena scanzonata di fondo erano i suoi territori. Sarà impossibile dimenticare Leo Goodies, mancherà tantissimo la sua arte incredibile, la sua simpatia e il suo carisma. Ci lascia però tre importanti testimonianze discografiche che consiglio vivamente a chiunque di cercare e di ascoltare con attenzione, perché dentro c'è tutto il mondo incredibile di Leo Boni: Crocicchio (Babbeo Records- 2001), Sogno Toscano (Babbeo Records- 2011) e The Ring (Redcat Music- 2020).