PISTOIA. Nel cuore di ognuno dei giovani, giovanissimi, protagonisti che hanno dato vita alla rappresentazione Che fine hanno fatto i Brooke, non è così difficile immaginare che un posto, più o meno grande, sia riservato a velleità artistiche. Del resto, lo spettacolo, mandato in scena nella sala delle grandi occasioni del Funaro, ha rappresentato l’atto finale del Laboratorio istituito dall’omonima Associazione che ha dovuto fare i conti con i miraggi teatrali di Rossana Dolfi, che ha reputato opportuno, con frutti evidenti, mettere alla prova i suoi discepoli con una confortante dimostrazione di lavoro dell’anno 2021-22. E così, Anita Bartolini, Niccolò Brogioni, Elena Capecchi, Mariasole Citi, Francesca D’Angelo, Miron Del Pero, Martina Faralli, Vanessa Giuntini, Giulia Gualtierotti, Edoardo Lucchesi, Sofia Maida, Francesco Mazza, Samuel Mazzei, Giulia Mazzoli e Gaia Pasquini (ordine semplicemente alfabetico), si sono esibiti in un giallo avvincente, con palpabili momenti emotivi e di suspence ad altri decisamente più rilassati e divertenti. Un intreccio per nulla elementare di continui arrocchi tra i numerosissimi personaggi che entrano ed escono dalla scena dove non si capisce, se non nelle battute finali, cosa sia mai successo alla coppia che festeggia i suoi dieci anni di matrimonio. L’accento, ovviamente, va messo altrove, nell’ordine e nella disciplina che un lavoro del genere richiede indispensabilmente, nei tempi, nei modi, nella passione con la quale ognuno di loro (ragazzi in età compresa tra i 14 e i 19 anni) indossa gli abiti di scena. Questo è il teatro, questo è e dovrebbe essere un motore accuratissimo di ricerca con il quale far viaggiare le nuove generazioni.

Certo, il tempo, a qualcuno di loro, darà forse suggerimenti importanti, stabilendo, ripercorrendo a ritroso le loro esistenze, che quell’esperienza rappresentò la prima di una lunga serie di esibizioni. A tutti gli altri, anche se il loro futuro si indirizzerà probabilmente altrove e su un palcoscenico non dovessero più salirci, questo laboratorio, i preparativi, la fatica, l’ansia, il sudore, la tensione, il rispetto, la coordinazione e lo spettacolo finale potrebbero essere e dovrebbero diventare una chiave esemplare di lettura delle loro personalità, casomai in un mondo dove gli attori siano riconosciuti lavoratori a tutti gli effetti.

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