PRATO. Lezioni da Buster Keaton non smetteremo mai di prenderne. Non solo per come si faccia a far ridere di gusto, ma soprattutto per come si possa e debba essere politicamente scorretti. A Prato, per questa duplice operazione, l’omonimo Comune ha deciso di delegare l’Associazione Zappa (un mix tra l’incommensurabile Frank e l’invito a riprenderci la terra, più che le piazze), che per portare a compimento l’evento (si replica il 9 luglio) ha chiesto e ottenuto la collaborazione del Terminale Cinema e quella del Tpo e occupando l’ex Fabrica (tra Fabbricone e Fabbrichino) ha mandato in onda, su uno schermo posto davanti al giardino (un po’ Woodstock, un po’ Berlino), One week, cortometraggio ideato e prodotto centodue anni fa. Non solo. Perché durante la proiezione dell’assurdo matrimonio tra Keaton e Seely (semplicemente memorabile il lancio delle scarpe, al posto del riso, all’uscita della Chiesa dei due sposini, con lui che se ne porta via un paio, che sembrano andare benissimo per i suoi piedi), ai lati dello schermo, Federica Camiciola, Francesco Fanciullacci, Alessia Castellano e Mirko Maddaleno hanno dato degna resurrezione sonora al capolavoro muto, allestendo una colonna musicale che più si confacesse alle tragicomiche immagini del cortometraggio, una casa di legno faidate come regalo di nozze composta da blocchi numerati che il vecchio fidanzato della sposina, ancora accecato dalla gelosia, contraffà, generando un’insana, pericolante e rotatoria architettura.
Nelle prime file, seduti su plaid offerti dalla casa, che si è anche organizzata nell’allestire spuntini equosolidali a prezzi popolari, un nugolo di bambini, figli di una generazione che tenta di resistere, con tutte le proprie forze, al sopravvento informatico dei divertimenti. Il senso della serata, insomma, al di là dell’eternità di Buster Keaton e dell’apprezzabile intuizione ritmica dei quattro musicisti che hanno così catapultato la visione dal dopoguerra del primo conflitto mondiale a quello contemporaneo del terzo e forse ultimo, sta proprio nel modo rivoluzionario di intrattenimento. Prima e dopo la proiezione di Una settimana, nello spazio aperto, ma vietato ai motori, che si incunea tra i due teatri pratesi appartenenti al Regno del Met, bambini che si rincorrevano felici e urlanti come se fossero normalissimi bambini preistorici alla ricerca della propria felicità, istigati al sudore, alla supremazia e al divertimento solo in virtù dei loro sensi. Al di là dell’ironia caustica di Keaton, bisognerebbe davvero che tutti i bambini, ogni tanto, almeno One week, la trascorressero senza orpelli informatici. E senza genitori. Crescerebbero prima, forse. E meglio.