di Damiano Restivo
LUCCA. La produzione industriale di immagini e gli straripanti flussi della loro diffusione tramite i mass-media mettono a disposizione una quantità senza precedenti di simboli culturalmente significativi, spendibili nella dimensione del dramma sociale. Sembra che le persone abbiano pienamente assorbito il concetto espresso dal saggista Fabio Dei a proposito della cultura Pop, vista l’oceanica affluenza che anche quest’anno ha contraddistinto il Lucca Comics & Games, senza dubbio il più importante festival del settore in tutta Europa nonché secondo al mondo, preceduto solo dal Comiket di Tokyo. Le oltre 250.000 presenze (paganti) registrate dal 31 ottobre al 4 novembre di quest’anno parlano chiaro di quale sia la portata dell’interesse che suscita una manifestazione del genere, ma anche e soprattutto dell’industria, o meglio delle industrie, che operano più o meno dietro le quinte. Il plurale in questo caso è fondamentale, perché quel Comics and Games che troviamo scritto nel titolo fa riferimento a una molteplicità di realtà che, sebbene accomunate da un unico denominatore, appunto la cultura Pop (o controcultura per i teorici col mignolino alzato), sono ben differenti tra loro.
di Barbara Ferrando
NELLE VENE gli scorrono mille rivoli di musica. Ha la pretesa di volerli conoscere tutti. Vista la sua determinazione, l'ostinazione, la classe cristallina che distingue il suo sound e il famelico desiderio di andare oltre, non abbiamo motivo di dubitare che presto giunga a destinazione. Una destinazione non contemplata da alcuna mappa geografica, però. Perché così è la strada del jazz e questa è la strada che ha imboccato, tanti anni fa, Lawrence Clark, con i suoi sassofoni. Come ti sei avvicinato alla musica? Mi ricordo che quando ero bambino sentivo mio padre e mio zio ascoltare un sacco di musica la sera. Anche se non era jazz era comunque buona musica, molto soul e funk. Dall’ascolto di questa musica che era veramente forte ho cominciato a interessarmi al sassofono. A scuola, in quinta, ho assistito a una dimostrazione: so come suonarlo e ne sono rimasto affascinato. Qualche anno più tardi avrei avuto l’opportunità di possederne uno e di iniziare a suonare. Se non fossi diventato un jazzman, cosa saresti stato? Avevo molti interessi, come l’architettura o la scienza, ma nessuna di queste cose è paragonabile al fatto di suonare il sax. La musica è tutto ciò che conosco e sembra essere il mio destino. Non so immaginare cosa sarebbe stato se non fossi diventato un musicista.
di Francesca Nobile
AMATRICE. È notte in montagna. Il buio è nero. Duecentonovanta stelle ci aiutano a muovere i passi verso il vostro giardino. Il silenzio ci unisce. Il dolore è la nostra comunità. La campana rintocca i vostri nomi che diventano lacrime. Siete tanti, troppi. Ci sono i bambini e le mamme. I nonni e i papà. Gli amori giovani e i loro cani. Nessuno mai sapeva del vostro viaggio senza ritorno. Poi ci sono i fogli, le carte, i bolli, i timbri e cento firme. Troppi! Siamo soli e bloccati dai loro lucchetti invisibili che provano a fermare la voglia di ricominciare. Ma noi siamo pronti, vogliamo costruire, arredare, accendere i camini, aprire le finestre, chiudere i portoncini, stendere lenzuola e cuocere il pane. Per ora, rabbia e macerie. La speranza sono le gru. Vogliamo guardare oltre e non vedere i sassi. Siamo tutti pronti. Loro no. Due lunghi anni che bloccano la forza delle genti di montagna. Cadrà di nuovo la neve senza poter accendere il fuoco. Questa notte è già fredda. Gli anziani sono smarriti, i bambini aspettano la scuola nuova. Questa notte non sentiamo le promesse. La processione è giunta da voi. Siete con noi sempre, ancora per oggi l’unica certezza che abbiamo, impossibile da scardinare, come quando si rientrava a casa e un altro racconto era lì per noi: Il telaio, lo speziale e l’asinello Rosina.
di Chiara Marini
GAVINANA (PT). La comicità toscana può essere garbata e ugualmente esilarante. A dimostrarcelo Paolo Hendel ieri sera a Gavinana presso il parco della Fondazione Turati, protagonista del suo ultimo recital, monologo con accompagnamento, a dire il vero molto random, del maestro Alessandro Bruno. Nell’ambito della manifestazione In-canti sotto la luna con la direzione artistica di Monica Menchi, ieri sera terzo appuntamento, dopo la musica e la poesia, con la prosa pungente di Hendel in una cornice di verde, di fresco e di stelle che già di per sé predisponeva al benessere. Hendel ci ha abituati alle sue vocine, ai suoi sorrisetti, ai suoi occhietti furbi, ammiccanti, con cui dissacra luoghi comuni, tradizioni, malattie, persino la morte (come dimenticare il meccanico Pippo del Ciclone)?
PORRETTA (BO). Come al solito. Tanto che se un giorno dovesse finire (ma non succederà mai), siamo convinti che il popolo che si accalca con passione, umanità, calore e sopportazione al Parco Rufus Thomas per assistere ai concerti del Festival Soul di Porretta, si darebbe comunque appuntamento, da un giovedì alla domenica successiva, per continuare a stare insieme. Veramente. Il Festival di Graziano Uliani ha da tempo superato la barriera del suono, del gradimento, del valore artistico; e per questo, nel racconto, non faremo cenno a nessuno dei musicisti che hanno reso entusiasmante anche questa 31esima edizione. Non lo scriviamo perché i cartelloni, ora, siano meno interessanti di quelli di alcune precedenti edizioni impreziosite dai santoni che l’hanno catapultato nel novero degli eventi mondiali. L’aria del Festival si respira tutto l’anno, a Porretta; prima del materializzarsi della manifestazione, con una carica di aspettativa adrenalinica da far invidia a qualsiasi lauto banchetto, come dopo, in attesa del successivo, con un filo di saudade che l’accosta al Carnevale per antonomasia, quello carioca.
AULLA (MS). La miccia, lunghissima, è ormai prossima a scatenare la scintilla che provocherà la detonazione; ipotizziamo il prossimo 5 ottobre, come giorno X, quello della deflagrazione: è quando uscirà il suo nuovo album. Lei, Serena Brancale, omaggiata ieri sera dal Premio Lunezia, sezione Jazz, alla XXIII edizione della manifestazione di Aulla, è concentratissima, un vero e proprio caterpillar di emozioni, luci, colori, tonalità, sguardi, sorrisi, bellezza, che centellina con dovizia di attenzioni e circostanze e che divide e condivide con l’anima e il diaframma che la condurranno dove sognava di arrivare da bambina. Ve ne avevamo già parlato, di questa meravigliosa macchina vocale, quando, intenti a deliziarci con l’ascolto di Erika Badu, Youtube ci suggerì l’ascolto, collaterale, di questa ex bambina, oggi donna prodigiosa, di Bari, che scherzava con la musica, con la vita e con il mondo spostandosi, sistematicamente, più in là, dove si incontrano grosse difficoltà di apparentamento per le catalogazioni e i filoni musicali.
di Raffaele Ferro
QUARRATA (PT). Parco Verde, posto bellissimo. Ristorante, circolo Arci. Tendone piccolo, mini-balera e un sestetto su un piccolo palco. In prima linea, poco spazio, tre musicisti di vecchio stampo, pistoiesi doc – Andrea Pagliari (il nobile radiologo, chitarrista 360°, chitarra e voce; Fabrizio Berti (decano del Blues di casa nostra), armonica e lo zio Elio Capecchi (chi non lo conosce in Pistoia è un alienato), chitarra acustica e voce. Per noi non più giovanissimi viene in mente i Rumble Beat, appunto, Elio Capecchi e Andrea Pagliari suonavano il rhytm n' blues rumbleggiante e solido. Oggi - in questa versione revaivalista, delle origini, polverose e calde del Blues delle origini – si chiamano Dusty Broom. Contrabbasso del giovane Alessandro Toland Antonini, la batteria di Lio Monfardini, il vilono dolce e tagliente di Chiara Bondi, l'organo e fisarmonica di Aurelio Fragapane. Sulla scia spumosa che ha lasciato il Pistoia Blues 2018 ci sono loro, a continuare in una situazione casalinga, bucolico-sagraiola, appunto, i Dusty Broom.
PISTOIA. Qualcuno, di quelli che si sono fermati ad ascoltarli, lo sapeva che in piazza Gavinana, sul Globo, tanto per intenderci, durante i tre giorni della 39esima edizione del Festival Blues di Pistoia, tra i resuscitati banchi dei mercati etnici, avrebbe trovato posto e spazio anche un piccolo palcoscenico in legno dove a rotazione, durante le settantadue ore della manifestazione musicale, si sarebbero esibiti personaggi di svariato calibro musicale. E ieri sera, poco dopo le 23, mentre in piazza del Duomo Steve Hackett e la sua formazione continuavano imperterriti a distribuire, con eleganza, raffinatezza e maestria, nuove emozioni di vecchi e indimenticabili motivi e al piccolo teatro Bolognini i docenti delle Clinics si stavano preparando per dare musica alla voce di Dolores Scott, sulla passeggiata del centro, in un composto viavai di turisti e indigeni, un americano e un livornese, Andy J. Forest e Roberto Luti, intonavano, di ritorno dall’Austria, il loro Blues, che è anche il nostro e di tutti quelli che non ne saranno mai sazi.
PISTOIA. Manca poco allo scoccare della mezzanotte. La giornata, però, la prima del 39esimo Festival Blues di Pistoia, non è ancora finita. Certo, l’appuntamento clou dell’esordio si è già consumato; il popolo di James Blunt è in procinto di avviare il controesodo della Piazza per riassaporare l’atmosfera del Festival che era e che è stato per una vita, quello delle bancarelle nelle vie che circoscrivono il centro storico. Qualcuno, però, seppur visibilmente soddisfatto dell’imprevedibile performance della popstar inglese, non è ancora sazio e soprattutto, corre voce che al Bolognini, a meno di duecento metri da piazza del Duomo, dove la dinastia Tafuro da tempo allestisce eventi collaterali, si esibirà, di lì a poco, Mike Zito. Andiamo – e ci mancherebbe altro -, soprattutto perché, nel pomeriggio, seppur ignorandone colpevolmente l’esistenza, di questo chitarrista - che canta meravigliosamente - italo americano (sull’avambraccio, tra tanti tatuaggi, ha anche una stivale tricolore), ne abbiamo letto mirabilia e diffidando parecchio dei nostri colleghi, siamo intenzionati, per confermare le nostre perplessità sulla categoria, o riconoscere, per qualche volta, di essere stati inutilmente prevenuti, a non perdercelo.
PISTOIA. Le dita, crescendo, gli si allungheranno e allora, sorvolare sui capotasti della sua sei corde, sarà più facile e anche appassionante. Anche i capelli, molto probabilmente, non saranno più tagliati a bravo scolaro, così come la chitarra che imbraccia, costruitagli dal padre con un pezzo di mogano (il braccio) e una lattina di olio (la cassa acustica), sarà un’altra: ma questa, quella di stasera, 13 luglio 2018, non la dimenticherà mai, in nessuno posto e con molta probabilità se la porterà dietro, nelle tournée che gli auguriamo sottoscriva, come immancabile amuleto. Però, il sound, si sente da lontano, così come la grinta, il corpo che segue il ritmo, le labbra che si rapprendono quando si preannuncia l’approssimarsi di un assolo e il pischello, tutto questo, ce l’ha addosso. Certo, la passione si riflette, ma il padre, che lo segue con meticolosa attenzione, dice che anche a lui, piace il blues, ma non come al figlio. Il sangue, blues, del resto, non mente e allora, appuntiamoci questo nome: Enea, e questo cognome, Barzaghi (la foto, scattata con il telefonino, è del batterista Raffaele Marseglia); se ne sentirà parlare.
Leggi tutto: Quando la musica si fa dura, i duri iniziano a suonare
PISTOIA. Disquisizioni umorali non siamo in grado di fornirvene solo perché non c’eravamo; altrimenti, ci saremmo concentrati sugli sguardi di Giuseppe Gherpelli e Alessandro Tommasi (quelli di Saverio Barsanti, direttore artistico e Luca Iozzelli, presidente della Fondazione Caript li sappiamo a mente), le due grandi novità, rispettivamente neo Presidente dell’Atp, dopo il lustro di Rodolfo Sacchettini e neo Sindaco della città di Pistoia, dopo l'avvento a Samuele Bertinelli, della conferenza stampa di presentazione della prossima stagione teatrale del Manzoni/Bolognini. Non vogliamo irridere il cartellone – ci mancherebbe altro -, ma degli spettacoli si sapeva già tutto da qualche settimana, visto e considerato che lo stesso vertice aziendale aveva anticipatamente diffuso (rispetto alla conferenza stampa) il depliant degli appuntamenti che si succederanno, tra gli albori autunnali e la primavera inoltrata del prossimo anno, nei due immobili culturali della città.
QUANDO si trattano alcuni avvenimenti/eventi, si è soliti usare un termine a volte improprio, definendoli, solo perché non esercitano esodi, di nicchia. In realtà, se si scorrono i nomi di alcuni artisti (la foto di Caetano Veloso lo dimostra ampiamente) che hanno impreziosito le precedenti trentotto edizioni, si può e si deve oggettivamente concludere che il Festival delle Colline è, senza mezzi termini, una manifestazione artistica che gode di tutti i crismi culturali. Cosa questa già confermata dalla longevità della manifestazione, vicinissima a festeggiare l’età della ragione. Venerdì prossimo, 6 luglio, alle 21,30, nella Villa Medicea di Poggio a Caiano, arriverà un personaggio obliquo: Sergio Caputo.
PISTOIA. Non si capisce, conoscendoli, che Francesco Rotelli e Luca Zacchini facciano parte della stessa formazione teatrale, Gli Omini. Anzi, a dirla fino in fondo, non si ha nemmeno l’impressione che facciano lo stesso mestiere. Non lo pensiamo, diciamo e scriviamo solo ora, alla luce dell’intervista/confessione rilasciata da due dei quattro apocalittici nel pomeriggio nel saloncino del piccolo Teatro Bolognini a chiusura di Talk Show (una delle tante idee estive dell’Associazione teatrale pistoiese), dietro le incessanti e gradevolissime battute fatte dai loro intervistatori, i colleghi di Sotterraneo (Sara Bonaventura, Claudio Cirri e Daniele Villa, il dotto); è così, ma è la loro fortuna, il loro magma indispensabile, che non si esaurisce con questo stridore umorale, tra la scimmia del circo e l’animale inaddomesticabile; perché non crediate che le femmine del gruppo, Francesca Sarteanesi (assente giustificata perché impegnata a fare sugna, quella che ha sempre pronto il piano B) e Giulia Zacchini, seduta accanto a noi, tra il pubblico, la divinità della formazione che preferisce restare dietro le quinte per un ostentato senso di sensualissimo pudore, appianino le asperità. Anzi.
FIRENZE. Le stagioni teatrali, per fortuna, si consumano quasi tutte interamente nelle stagioni più rigide; altrimenti, se così non fosse, saremmo costretti a disertare, soprattutto perché ormai, senza aria condizionata (detestabile, dannosa, illusoria, controproducente: da mettere fuorilegge), escluso noi, nessuno riuscirebbe più a sopravvivere, figuriamoci assistere ad una rappresentazione. È per questo che oggi, 15 giugno, non abbiamo potuto seguire interamente la sontuosa conferenza stampa di presentazione della stagione che verrà dei quattro teatri iscritti alla giurisdizione del Teatro della Toscana, che sono, anche se non occorrerebbe citarli, la madre Pergola e i suoi tre meravigliosi marmocchi: lo studio Mila Pieralli di Scandicci, il risorto Niccolini a Firenze e quello dell’Era, arrivando fino a Pontedera, nella provincia pisana.
LO SVILUPPO dei popoli, in modo particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell’ignoranza; che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane; che si muovono con decisione verso la meta di un loro pieno rigoglio, è oggetto di attenta osservazione. Una rinnovata presa di coscienza delle esigenze, le impone di mettersi al servizio degli uomini, onde aiutarli a cogliere tutte le dimensioni di tale grave problema e convincerli dell’urgenza di una azione solidale in questa svolta della storia dell’umanità. Questo è l’incipit, minimamente riveduto e corretto, amputato solo di qualche aggettivo - ma solo per lasciarvi nel dubbio – scritto cinquantuno anni fa, nel 1967, alla vigilia della contestazione per antonomasia; ma non da un intellettuale come Pier Paolo Pasolini, ma da un Papa, pensate: Paolo VI. È Progressio populorum, l’enciclica che l’Occidente cattolico e devoto al Cristianesimo e ai suoi principi e l’America ricca non salutarono con grande piacere. Certo, senza un Continente intero preda e ostaggio del Capitalismo, gli esperimenti, lo sfruttamento e soprattutto le guerre dove si sarebbero potute fare e le bombe dove si sarebbero potute sganciare, altrimenti. Ora, quella massa informe di schiavi si è rotta i coglioni di subire e sta provando ad alzare la testa. Ma non come l’Occidente laico e gli americani che non vivono all’ombra del Pentagono si augurano succeda; anche stavolta, dietro questa rivoluzione, sanguinosa, tragica, ma purtroppo apparente, si nascondono i grandi burattinai della Terra, invisibilmente ed equamente infiltrati tra le maglie degli interventisti e dei neutralisti. L’onda, però, non si ferma più; il tempo è scaduto, da parecchio: è tardi. il consiglio, in questo evo delicatissimo, è cercare di non provare ad arrestarlo a suon di demagogia, questo tsunami; perché sarebbe peggio. Molto peggio.
PRATO. Non tutto quello che vedremo, poi, dal prossimo ottobre fino alla primavera inoltrata del 2019, sarà sensazionale, meraviglioso, o, per dirla teatralmente, indispensabile, ma ogni volta che non verremo coinvolti quanto avremmo voluto, recensiremo senza indulgere, certo, ma senza essere corrosi dal dubbio che si trattasse di una rappresentazione esentata dall’essere visionata dalle forche caudine di chi, in questo lavoro, ci crede. Veramente. Onestamente. Socialmente. Politicamente. Di tutto il resto, tutto quello che è stato detto stamani, nel cortile interno di Palazzo Pretorio, a Prato, dove i vertici aziendali del Metastasio hanno presentato, con una non certo breve, ma gradevolissima (location sfiziosa, buffet sublissime) conferenza stampa, la prossima stagione del Met, Fabbricone, Fabbrichino e Magnolfi, vi informerete direttamente sul sito, se ne avrete voglia o se sarete interessati.
PISTOIA. Vedere all’opera Fabrizio Gifuni è uno spettacolo. In tutti i sensi. È un ballerino meraviglioso, un abile incantatore di serpenti, un severissimo censore di comportamenti non consoni alla civiltà, un indomito sobillatore di masse, seppur ostiche, perché dormienti, a qualsiasi sollecitazione, un impareggiabile traghettatore di speranze da una riva all’altra, anche se peggiore, del fiume che ci passa nel mezzo, un delizioso affabulatore tristemente dotato di una ferrea memoria storica e civile. E poi, un attore straordinario, un inimitabile monologhista, che si esalta e esalta il pubblico, quello capace di intendere e volere, quello che capisce e vuole capire, un’esigua minoranza, quando si cimenta nelle riletture di Pier Paolo Pasolini, il più grande intellettuale, insieme allo statista Aldo Moro, di questo paese. Che sprofonda. In quel baratro abilmente scavato, nel suo letto privilegiato, dal capitalismo e riempito, fino a coprire interamente e perfettamente la fossa, dagli artefici inconsapevoli della macchina consumistica: noi tutti. Flebilmente, tragicomicamente e orgogliosamente aggrappati ai laceri e inutili possedimenti che il meccanismo ci offre sistematicamente per garantirci la sensazione di essere ancora vivi. Ignorando, invece, che, nella migliore delle ipotesi, siamo già cadaveri.
PISTOIA. È scientificamente inutile nascondersi: la morte, prima o poi, ci troverà. Tutti. Intorno a questo principio si muove, da sempre, l’umore delle genti: chi preferisce non pensarci mai, fino a dimenticarsene, osando, spesso, oltre il lecito e chi, invece, non riuscendo a farsene ineludibile ragione, diventa ostaggio, preziosissimo, di strizzacervelli e montagne di psicofarmaci. Esiste anche una terza via, che è quella meno raccomandabile e più deprecabile, ma che possiamo avere la sfortuna di imboccare senza volerlo minimamente. È quella che si chiama, in parole povere, non le resta moltissimo da vivere, sentenza questa che, abitualmente, pronuncia un medico osservando le analisi o le lastre dell’inerme malcapitato paziente. Anche alla psicologa Francesca Masi, una bella mamma pisana (di Pontedera), qualche anno fa è andata così. Il verdetto – la sua forbice sopravvivenziale oscilla tra i due e i cinque anni -, la sfortunata tumorata, lo ha letto su wikipedia, ma la voglia di non mollare e soprattutto di non mollare il suo piccolo Galileo, l’ha spinta a vedere se in giro ci fosse qualche luminario bravo e gentile capace di farla risorgere prima di morire.
PISTOIA. Nella foto mancano i due protagonisti, quelli veri: Filippo Giansanti, che ha curato i disegni e Mauro Pompei, che si è occupato dei testi. Quelli veri, perché Sofia e Bianca Pompei e Francesca Sarteanesi (quelle della foto), a questo Giovedì siderale organizzato alla libreria Lo Spazio, in via dell’Ospizio, a Pistoia, per la presentazione del volumetto A’ be’ c’è Dario (Edizione Ets), hanno partecipato solo ed esclusivamente per dare un tocco teatrale al battesimo bibliografico, anche se, a onor del vero, riconosciamo con piacere che l’impianto scenografico ha dato i suoi frutti. Soprattutto perché le due protagoniste, Sofia (prima attrice, nonché suggeritrice, tra l’altro spudorata) e Bianca (seconda attrice, nonché suggerita, con minor pudore ancora), supportate da Francesca Sarteanesi, brava a scendere un paio di scalini per salirne, contemporaneamente il doppio, hanno dato, come si dice, spettacolo, rispettando tassonomicamente i tempi delle prove e inanellando più che apprezzabili performances.
PISTOIA. Ci sono lutti che si metabolizzano più lentamente di altri. La morte di Pino Daniele è una di quelle scomparse che fa propriamente al caso. Soprattutto perché riprodurre la melodia, il suond, la carica e lo slang (cantava in si bemolle; i vocalisti non si possono dar pace) dell’indimenticabile cantautore napoletano, trasformare cioè il ricordo in un tributo, è opera particolarmente laboriosa, complessa. Gennaro Scarpato (unico conterraneo del virtuoso musicista napoletano) e i lucchesi Meme Lucarelli e Andrea Gorza, tre apprezzatissimi strumentisti che da tempo, oltre che suonare ovunque al fianco di mostri sacri, portano avanti un’idea/progetto (The Link), hanno deciso, mossi da singole/collettive insdebitabili riconoscenze nei confronti dell’innovativa poesia strumentale di Pino Daniele, ricordare e riproporre l’immortale ripercorrendo una micro scia della sua enorme e sontuosa discografia, riassumendo in due ore scarse di riletture alcuni suoi capisaldi, che appartengono – inutile provare a disquisire – ai suoi primi quattro album: Terra mia, Pino Daniele, Nero a metà e Bella ’mbriana, registrazioni con le quali l’autore partenopeo si è guadagnato un insostituibile posto al sole della musica planetaria.
di Alex Brocchini
PORDENONE. Il Pordenone Blues Festival, in calendario dal 2 al 7 luglio prossimi, è una splendida realtà nazionale e internazionale che richiama ogni anno migliaia di persone - oltre 45mila nel 2017 - provenienti da tutta Europa. Se la rassegna pordenonese - vero gioiello del Triveneto e sempre più lanciata all’estero - riconferma di edizione in edizione il suo alto profilo, è grazie anche all’originalità del cast artistico. La line up di quest’anno vede protagoniste, accanto alla leggenda del pop Anastacia (che si esibirà giovedì 5 luglio al Parco San Valentino), star internazionali del calibro di: Level 42, band inglese tra le più grandiose e di maggior successo degli anni '80 (nella loro unica data in Italia); Lee Fields, l’ultima voce del soul, accompagnato dalla sua band The Expressions; il grande bluesman bianco, il nuovo King of the Blues Watermelon Slim; e tanti altri ospiti, in concerto sabato 7 luglio al Parco San Valentino di Pordenone.
Leggi tutto: Le ventisette candeline del Pordenone Blues Festival
PISTOIA. La rabbia, composta e il dolore, concentrato e convertito al diritto di sapere, sono un tutt’uno con i lineamenti nobili, il carnato tenue e il sangue blu di Carolina Orlandi, conosciuta ieri, nella sala delle presentazioni della libreria Lo Spazio, in via dell’Ospizio, a Pistoia, con il suo libro d’esordio, Se tu potessi vedermi ora (Strade blu – Mondadori). La giovane figlia acquisita di David Rossi non si è ancora data giustamente pace a proposito della misteriosissima morte, avvenuta il 6 marzo del 2013, del funzionario della comunicazione del Mps. Su quella strana caduta dal terrazzo si è detto tutto e il contrario, ma scritto pochissimo, soprattutto sui registri della Procura della provincia toscana, che ha già chiuso il fascicolo derubricandolo all’insondabilità di un suicidio.
di Samuele Manduca
LO SCRIVIAMO senza retorica oggi, 16 marzo 2018, a quarant’anni esatti dall'agguato di via Mario Fani e dal rapimento dell'allora presidente della Democrazia Cristiana; lo scriviamo perché da quell'attimo la nostra nazione sembra espiare ininterrottamente la colpa di far finta di non vedere ciò che è dinnanzi a noi da quattro decenni: la nostra libertà è una concessione di forze esterne al nostro sistema paese. E allora, in quest'ottica impietosa per noi stessi, forse è giusto, come persone, meritarsi la capitale nullità dei soggetti politici che ci ritroviamo oggi e contrapporle, per penitenza, il valore dell'unica vita politica che c’è rimasta dentro: quella di Aldo Moro. Perché è giusto meritarsela questa lunga espiazione che tanto vorremmo fosse anche una riflessione, lo si capisce già dal momento in cui Moro appena venticinquenne, nel 1941, entra all'università di Bari in qualità di professore di Filosofia del Diritto per la sua prima lezione e pronuncia una frase che è lo stigma di tutto il suo agire politico dall'interno del partito di cui è tra i fondatori e che, purtroppo, è anche la causa morale della sua tragica fine: la persona prima di tutto.
NON SO QUANTI anni compia, oggi, Mauro Pompei. In verità, il giorno del suo compleanno cade il 14 febbraio, ieri dunque, ma quest’anno san Valentino è coinciso con un mercoledì e allora, giusto e buono trascorrerlo con le figlie, amanti vere, amanti eterne: i mercoledì siderali non esistono, del resto; i giovedì, sì e se non ci fossero, andrebbero inventati. Gli amici, i suoi amici, quelli coltivati da più di dieci anni quotidianamente con quel dolcissimo sorriso, quell’insana propensione al divertimento e all’autolesionismo e con impagabili consigli bibliografici, stasera saranno tutti da lui, con lui, nella libreria Lo Spazio, quella di via dell’Ospizio, quella davanti casa di Roberto Carifi, tantpo per intenderci. Ad accompagnarlo, in un monologo semiserio di ringraziamento, ci sarà Lorenzo Cipriani (un suo amico, vero) e la sua chitarra.
PISTOIA. Questo pezzo lo scriviamo per noi, Steven, e non per te. A te, dobbiamo solo delle scuse, che ci apprestiamo a farti, volentieri. Ci occupiamo di musica da più di trent’anni e siamo stati spettatori privilegiati, perché non paganti, di una miriade di concerti. Abbiamo assistito a esibizioni memorabili come ad altre di modestissimo spessore e abbiamo sempre avuto il coraggio di esporci: rischiando grosso e pagando, puntualmente, dazio. La lista è lunghissima; la memoria, muscolo volontario, ricorda tutto, per filo e per segno, ma non ha alcun senso che in questa circostanza ci si pavoneggi della nostra lungimiranza. C’era già capitato di imbatterci nel tuo talento (la foto che pubblichiamo non è di ieri sera, al Santomato – si capisce dalla rotondità del viso -, ma scattata in chissà quale altra occasione), ma ci sfugge il motivo per il quale non lo abbiamo mai evidenziato quanto meriti, ci irrita la nostra miopia: sei un vero e proprio animale da palcoscenico.
FIRENZE. Il secondo spettacolo in scaletta, Viceversa, abbiamo avuto la fortuna e il piacere di vederlo accanto agli sguardi, rapiti e entusiasti, di Iris Berdicchia, Francesca Bruno, Dora Del Fabbro, Zara Franceschini e Alice Piga (ordine alfabetico, eh), le cinque danzattrici del Gruppo giovanile della Compagnia Valerio Bellini che avevano da pochissimo terminato la loro esibizione, Cellule, balletto con il quale si è aperta, venerdì 22 dicembre, al Cantiere Florida di Firenze, la serata Hip Hop is alive. Emozionanti: tanto gli spettacoli che l’adrenalina, pura, che si è respirata per tutte e due le rappresentazioni, una carica e una scarica emotiva degne della fatica, concentrazione, armonia e sudore e sangue versati sul palcoscenico. Non siamo hiphoppari, ma quando ci si imbatte nell’armonia, figlia (in)naturale dell’applicazione, dello studio, delle ripetizioni, della pazienza, del sacrificio, della volontà e della bellezza, non si può che lasciarsi trasportare dal flusso fino all’altra riva del fiume, dove arrivano solo quelli che sanno nuotare, quelli che non si danno per vinti e quelli che si fidano delle correnti.
di Samuele Manduca
PISTOIA. La Giorgio Tesi Editrice ha appena pubblicato un nuovo volume della collana Avvicinatevi alla Bellezza, intitolato Pistoia città dei pulpiti. Per presentarlo, decide di invitare - inaugurando anche una mostra fotografica sul tema che durerà fino al gennaio del 2018 nella chiesa di San Bartolomeo a Pistoia - il critico d'arte Philippe Daverio. In coincidenza di questo evento, avvengono due fatti straordinari: primo, viene un sacco di gente; secondo, si spenge la luce durante la presentazione del volume e, per qualche minuto, centinaia di persone rimangono al buio dentro la chiesa. Tra le autorità cittadine partecipanti al cerimoniale dei ringraziamenti che preludono al discorso di Daverio ci sono il direttore editoriale della rivista Artedossier, il presidente della Fondazione Caripit, il rappresentante dell'azienda Giorgio Tesi, l'assessore al bilancio del Comune di Pistoia, il fotografo che ha realizzato la mostra che fa da cornice all'incontro, il professore universitario che dirige la rivista Naturart, il manager di uno degli sponsor e, naturalmente, il padrone di casa, cioè il prelato della parrocchia di San Bartolomeo e Sant'Andrea, don Luca che, quando viene il suo turno, inizia a parlare del pulpito di Giovanni Pisano.
di Samuele Manduca
PISTOIA. Il 25 gennaio 2016 è per i pistoiesi un giorno storico: Pistoia fu infatti insignita in quella data del titolo di Capitale Italiana della Cultura per l'anno 2017. Sarebbe però meglio dire che più che storica, quella giornata di proclamazione, fu un momento fatidico per la città, perché da quell'istante in poi tutti, chi più chi meno, iniziarono seriamente a chiedersi la stessa identica domanda: perchè noi? Il consesso di ieri sera (29 novembre) si svolgeva nella sede della Fondazione Caripit e voleva essere una riflessione collettiva che, tra le altre cose, desse una risposta a quella stessa domanda o almeno ci aspettavamo che così fosse anche grazie all'aiuto del sindaco di Pistoia, della organizzatrice di eventi culturali Giulia Cogoli (laurea in scienze politiche, ideatrice e direttrice dei Dialoghi sull'Uomo che ogni primavera si svolgono in città a partire dall'anno 2010 ) e soprattutto di Guido Guerzoni, laureato in economia aziendale, dottorato in ricerca sulla storia economica e sociale ed attualmente docente presso la prestigiosa Università Bocconi di Milano in due corsi: Politica del Turismo e Museum Management.
BIZZARRA la storia della pubblicazione dell’autobiografia di Michele Torpedine, noto ex manager e produttore tra gli altri di Zucchero, Giorgia, Andrea Bocelli, Pino Daniele e ora artefice del successo dei tre tenorini de Il Volo. Il 16 Ottobre, con una intervista esclusiva al quotidiano di Napoli, Il Mattino, leggibile a https://www.ilmattino.it/cultura/libri/michele_torpedine_ricomincio_dai_tre_vacalebre-3305660.html Michele Torpedine annuncia con entusiasmo e un po’ di veleno l’uscita dell’autobiografia dal titolo Ricomincio Dai Tre Quanta ingratitudine dice Torpedine da parte di Zucchero, Bocelli e non solo. Sembra che l’autore, tra le righe, dica:"..... siccome tutti non riconoscono il mio talento, ci penso io a parlar bene di me... L'uscita del libro è prevista il 26 ottobre con una conferenza stampa proprio lo stesso giorno alle 18, nella centralissima Libreria Coop Ambasciatori di Bologna che ospita anche il super store Eatitaly, la creazione di Oscar Farinetti.
PISTOIA. A volte, la bravura, è inversamente (s)proporzionale al senso della propria espressione. I Killer Queen – ieri sera al Santomato live, occasione per celebrare il ventiseiesimo anno dell’inconsolabile scomparsa di Freddie Mercury (24 novembre 1991) – sono uno dei più fertili e professionali esempi di quanto stiamo per scrivere. Certo, lo sapevamo anche prima; i tributi non li scopriamo oggi; ne circolano, da parecchi anni, di svariati tipi. Ci sono le reincarnazioni, musicali, di Vasco Rossi, dei Beatles, di Gianna Nannini, quasi tutte sulla falsariga del rock and roll, dalle punte più estreme a quelle più popolari. Tributare George Benson, in verità, o Bobby McFerrin, gli Steely Dan o Donald Fagen, anche da da solo, i Manhattan Transfer o Rachelle Ferrell è impresa un po’ più ardua, ma non è su questo che vogliamo disquisire.
PISTOIA. Il rischio, c’è ed è tangibile. I drammi sono altri, certo, ma se nel 2018 piazza del Duomo non dovesse ospitare la 39esima edizione del Festival Blues, la città, qualcosa, perderebbe. Di consistente. E non solo da un punto di vista musicale, culturale, spettacolare. Pistoia senza il Festival Blues è come Siena senza Palio, senza temere di oltrepassare ogni ragionevole sorta di esagerazione. Molti pistoiesi, sposati e con bimbi grandicelli, non erano ancora nati quando la città ospitò il battesimo (14 luglio 1980). Non vi faremo adesso l’elenco dei Musicisti (la maiuscola è d’obbligo) che hanno impreziosito, in questi trentasette anni, il palcoscenico della manifestazione: ci sono passati praticamente tutti, salvo qualche rarissima eccezione. L’eventuale anno sabbatico (nella migliore delle sciagure) va scongiurato in tutti i modi, perché se si materializzasse, creerebbe un pericoloso precedente.
PISTOIA. Chissà cosa penseranno i Direttori artistici, addetti stampa e addetti ai lavori in generale degli altri Teatri del circondario sapendo che alla presentazione della stagione teatrale che va a incominciare del Manzoni ci siamo andati: è domenica, pomeriggio, tra l’altro. Siamo giustificati. Anche se è solo e soltanto un, seppur piacevole, semplicissimo rituale, che non ha un benché minimo valore artistico, ma che non abbiamo difficoltà a pensare quanto possa far piacere, soprattutto a loro. Ci siamo stati principalmente per scattare qualche foto che potrebbe servirci, quando gli attori invitati oggi nel pomeriggio alla cerimonia faranno vedere quello di cui sono capaci, perché si esibiranno davvero sul palco e fotografarli, allora, sarà rigorosamente vietato, dunque rischioso e essenzialmente difficoltoso.
FIRENZE. La stagione teatrale è alle porte. Il teatro della Pergola, uguale a se stesso da tempo immemore, non si emoziona più, alla vista di nessuno; su quel palco, di talenti e mostri sacri e qualche raccomandato (pochi, in verità e per fortuna), ne sono passati un esercito. Ieri sera, però, 13 ottobre, lo stabile fiorentino ha prestato la propria disponibilità scenica a Mediterri-amo, progetto artistico, a sfondo culturale, sociale, prima che umanitario, di Educate a child, dell’Unchr, a cui parte dell’incasso è stato devoluto. E si è rallegrato. In questa stagione infinita e, pensate, solo all’inizio, di sbarchi di ogni genere, c’è un dato di fatto incontrovertibile: il futuro. Che passa anche dagli sguardi dei più piccoli, che sono i bambini nati nel posto sbagliato al momento sbagliato.
PISTOIA. Di siderale, i giovedì alla libreria Lo Spazio, in via dell’Ospizio, a Pistoia, hanno ben poco. Anzi, nulla. Ma le denominazioni a origine controllata, spesso, segnano la sorte delle iniziative, delle imprese, delle idee, dei film, dei libri, dei dischi, nel bene e nel male. Prendete il logo di Pistoia capitale della cultura: non buca il video, la fantasia, la memoria, l’immaginazione, il desiderio, nulla. Infatti. Siamo partiti da troppo lontano, così lontano che non ricordiamo di cosa vi si volesse scrivere. Ah, già, i giovedì siderali alla libreria di Mauro, che stasera ha battezzato un connubio artistico particolarmente apprezzato: la musica dei Werner e la poesia di Lucia Mazzoncini, che indossava un rumorosissimo e fragile abito della collezione di Elisa Gavazzi, per calarsi, nell’occasione, nei panni dell’amica risanata, anzi, da risanare, di Sentieri nel ghiaccio, di Werner Herzog, fonte ispiratrice, quest’ultimo, tanto della performance spaziale, che della musica e le voci di Alessia Castellano al violoncello e Stefano Venturini della chitarra.
di Graziano Uliani
MONTEPULCIANO (SI). Estate di dieci anni fa. Ricevo una telefonata da Chuck Bernardini, firma prestigiosa di un importante studio di avvocati di Chicago e rappresentante pro-bono, cioè gratis, del Porretta Soul Festival. “Christie Hefner, figlia di Hugh Hefner, fondatore di Playboy, e suo marito, William Marovitz, avvocato e immobiliarista, sono in vacanza in Toscana. Hanno affittato la casa dove hanno girato il film Under the Tuscan sun (Sotto il sole di Toscana). Sono con alcuni amici e vorrebbero invitarti a cena con qualche star italiana. Pensa a qualcuno”. Penso a Zucchero. Lo chiamo e si mostra ben disponibile. Chuck mi prega di cercare un ristorante all’altezza della situazione. Per non sbagliare consulto la guida Michelin e faccio un sopraluogo dopo aver individuato il ristorante giusto a Montepulciano. E’ a poca distanza dalla loro residenza.
PISTOIA. Tra qualche mese, sarà un’altra cosa. Speriamo. Oggi, però, per questa festa intima, ma non privata, alla libreria Lo Spazio, in via dell’Ospizio, è stato tutto molto bello: la gente, quella di sempre, anche se una minima parte, quella che ha consentito a Mauro e Alice di restare in piedi, con il loro angolo delle meraviglie, per questi lunghi, lunghissimi, dodici anni. E poi lui, Mauro Pompei, febbricitante (la temperatura è figlia di un più coraggioso tentativo di suicidio, a base di paella e antibiotici: cosa che avrebbe fatto stramazzare a terra un elefante, non certo lui), che si è seduto e ha letto qualche pagina di riflessione, ricordi, sogni, speranze, paure. Lo ha fatto in romanesco, anzi, in ciampinese, con le e chiuse, anziché aperte (insopportabile) perché in italiano non gli sarebbe mai riuscito e soprattutto perché quando si scrive quello che si ha dentro, lo si scrive come lo si direbbe.
CAMPI BISENZIO (FI). Tra il pubblico, moderatamente numeroso, nemmeno uno dei virtuali destinatari delle attenzioni e accuse lanciate dalle relatrici: molte donne, come al solito, quando non si parla di calcio, molte delle quali, non più giovanissime, accompagnate dai loro mariti, dai loro sposi, perché compagni, parecchi anni fa, lo si era soltanto stringendo il pugno, non quando si parlava del consorte. Ma di ventenni stratatuati e con le bollicine nella testa, quelle che ti mandano in corto circuito il sistema nervoso e ti fanno fare cose inverosimili, o mariti trentenni possessivi, che tradiscono puntualmente, ma guai a ricambiarli con la stessa moneta o comunque quei maschi stupidi, dall’eiaculazione in poi, che non sono mai diventati uomini e mai lo diventeranno, ieri sera, al Circolo Rinascita di Campi Bisenzio, alle propaggini di Firenze, nemmeno l’ombra. Sfido: si parlava di violenza e stalking, on line, off line, consumate e ventilate e quando si affrontano queste problematiche, i violenti per antonomasia, per frustrazione, di riflesso, per impotenza, si defilano, preferiscono non sentire, stare altrove.
SERRAVALLE (PT). Era emozionato, ieri sera, Luigi Tronci. E non l’ha nascosto, per fortuna. Soprattutto quando Nico Gori, un talento naturale dei fiati (mattatore la sera precedente, sullo stesso palco), lo ha chiamato sotto i rifltettori di Serravalle Jazz (quarta e ultima serata di questa sedicesima edizione) per consegnargli, dalle mani di Tullio De Piscopo - per lui, aggettivi, non ce ne sono più: sono già stati usati tutti -, il premio Renato Sellani, istituito, tre stagioni fa, proprio dall’entourage del Serravalle Jazz sotto esplicita pressione del clarinettista e saxofonista fiorentino, che proprio con Renato Sellani e la voce di Stefania Scarinzi (anche lei sul palco a omaggiare Luigi Tronci) ha avuto il piacere e l’onore di condividere l’ultima tournée dell’indimenticabile pianista. Era emozionato, Luigi Tronci, perché nonostante abbia superato gli 80 anni e possa esporre e vantare un palmares di riconoscimenti internazionali attribuitigli dalle fonti più autorevoli della musica disseminati lungo la sua carriera di artigiano del suono – cimeli che potete osservare andandolo a trovare nel suo laboratorio, la Ufip, di Sant’Agostino, a Pistoia -, quando la sua città, Pistoia, appunto, si ricorda di lui, Gigi, come lo chiamano tutti, si intenerisce.
PRATO. Non c’è alcuna relazione tra Francesco Nuti comico/attore/regista e Francesco Nuti pittore. Certo, è vero; che il saltimbanco fiorentino fosse ossessionato dalla vita e dai suoi tranelli, lo si capiva anche quando esordì, sbilenco, con Alessandro Benvenuti e Athina Cenci con i Giancattivi; una comicità surreale, convulsa, che si materializzò e raffinò ulteriormente poi quando decise di lasciare i due compagni di avventura per cimentarsi con il cinema, da protagonista prima e da regista poi. La pittura è stato un suo angolo segreto, segreto e personale fino a quando la vita non gli ha messo di fronte un ostacolo insuperabile. Da allora, le sue ossessioni, la sua voglia di libertà sono state veicolate da quelli che gli sono rimasti accanto e che lo stanno seguendo in questo doloroso percorso a ritroso.
di Antonietta Montagano
NAPOLI. Intere generazioni sono passate davanti all’Ospedale delle Bambole, unico al mondo nel suo genere; si trova a Napoli (e dove, altrimenti?), nella caotica ma caratteristica via San Biagio dei Librai. È difficile immaginare le bambine di oggi (stanche, in genere, dei loro giocattoli subito dopo l’acquisto: ne pretendono subito uno nuovo, che i genitori si affrettano prontamente a comprare), correre, in lacrime, in quell’ospedale con la bambola in braccio e nel cuore la speranza di farla aggiustare. Le bambine non giocano quasi più con le bambole; guardano la televisione. E poi le bambole di oggi non si rompono più, non si staccano più le teste, non cascano più i loro occhi se si spingono con le dita, non si scollano più i capelli morbidi come seta, non si spezzano più gli elastici che legavano le braccia e le gambe. Non sono costruite più in fragile porcellana, sono fatte quasi tutte di plastica e si gettano via, praticamente nuove, nel gran mare dei consumi e della spazzatura differenziata.
PORRETTA (BO). Eravamo convinti che gli ultimi oltraggi mondiali al buonumore potessero avere la forza di condizionare anche la beata musica di Porretta. Per fortuna ci eravamo sbagliati, perché anche quest’anno, come succede, ininterrottamente, dal 1988, al Parco Rufus Thomas, oltre al Soul, di casa, ci sta anche e soprattutto l’allegria. Il piccolo anfiteatro a semicerchio, in pietra, che va a spiovere sul palcoscenico, dove gli artisti devono chiedere permesso ai fotografi, per esibirsi con un minimo di scioltezza scenografica, anche ieri sera, per la seconda delle quattro serate della 30esima edizione del Porretta Soul Festival, erano gremite in ogni ordine di posti. A sedere, come se fossero manichini riesumati per la circostanza, tutta la gente che abbiamo la netta impressione di aver già visto gli anni scorsi. Oh sì, certo, qualcuno, di Festival, non se ne è mai perso uno e mai se ne perderà, fino a quando il tempo e le condizioni gli consentiranno di esserci. Ma è proprio l’atmosfera del Parco a trasformare gli spettatori, che finiscono per somigliarsi, come se una volta varcata la cancellata del giardino, gli addetti al Festival offrissero, al pubblico, una tutina, una maschera e delle pasticche di felicità.
di Mauro Pompei
PISTOIA. Il capo ieri sera, al concerto del 38esimo Festival Blues, sapeva che non ci sarebbe stato, perduto dietro un sogno adolescenziale. Così aveva chiesto a me di recensire il concerto di Alessandro Mannarino, in piazza del Duomo, a Pistoia. Io, nell'impossibilità di seguire il capo nel suo italiano pieno di svolazzi e fuochi di artificio e soprattutto nella sua infinita sapienza musicale, avevo puntato tutto sulle mie due accompagnatrici: due bimbe ricce, di sette e cinque anni. Affidando a loro il racconto dell'esibizione, mi sentivo al sicuro. L'inizio è stato incoraggiante. Appena arrivati in piazza (con un discreto pubblico a colorarla) hanno iniziato una dotta disquisizione sui cognomi che sembrano nomi. Per loro sarebbe stato meglio se Mannarino fosse stato il nome di battesimo: "Babbo, come con Alessandro Tomasi, non era meglio se si chiamava Tomasi di nome"? Poi, dal fumo del palco, sono emersi lentamente gli undici componenti del gruppo del cantautore romano (classe 1979) e una sbandieratrice.
Siamo pronti a scommettere che se potesse, stanotte, durante l’esibizione in scaletta del suo concerto di Modena (Albachiara?), sceglierebbe di morire: si autobeatificherebbe! Sorte tanto benevola non è toccata nemmeno a Jimi Hendrix, o Jim Morrison e nemmeno a Janis Joplin (tanto per rispolverare la leggenda delle J e dei 27 anni); lui, poi, Vasco Rossi, è ormai un signore di abbondante mezza età (65 anni, da pensione, Fornero permettendo) e stasera, 1° luglio, a Modena, a vederlo, a vederlo festeggiare i suoi 40 anni di musica, saranno in 250.000. Cifre da far impallidire i suoi miti adolescenziali, i Rolling Stones, ma anche i Beatles o Bruce Springsteen. Certo, le sue canzoni non hanno fatto e non faranno il giro del Mondo, ma nessun artista, in casa propria, è riuscito a unire, in un sol colpo, tre generazioni.
PISTOIA. Una storia antica, senza sussulti, men che mai grida. Una storia antica ambientata poco distante da dove si consumò, alle soglie del diciassettesimo secolo, in una casa di campagna, sulle rive dell’Ombrone, a due passi, è davvero il caso di dire, di San Michele in Cioncio, dove Massimo Grigò, Annibale Pavone e Maurizio Rippa, con la musica ispiratrice, conduttrice e risolutoria dello strumento d’epoca per eccellenza, il clavicembalo, affidato alle cure di Manuel Gelli, hanno ambientato La ferita della bellezza, portato in scena da Giovanni Guerrieri, a sua volta adattatore del testo di Luca Scarlini. È la storia antica, così poco leggendaria, in prossimità del secolo dei lumi, di Atto e suo fratello Jacinto, l’unico maschio non evirato dal padre Domenico perché deputato alla prosecuzione chimica e nobile della stirpe dei Melani, famiglia consegnata ai posteri degli evirati cantori abili anche a rivestire il ruolo, ambiguo, di spie di corte.
LUCCA. È un compositore. Principalmente, suona il basso e il contrabbasso, con svariati gruppi del circondario e non solo, ma persone con le quali divide e condivide la stanza della sua mostra retrò in Corto dell’Angelo a Lucca, ci assicurano che sia bravo, molto bravo, anche imbracciando altri strumenti, addirittura etnici, come il sitar e il setar indiani. Senza dimenticare – lo scriviamo perché per la mamma è motivo d’orgoglio – che Stefano Chelotti – più semplicemente Pepi, alla storia dei posteri – è uno psicologo. Questo ultimo suo lavoro, ultimo in ordine di tempo - dubitiamo che un giorno possa mai sentirsi appagato -, è una miscela esemplare delle sue facoltà: gli studi introspettivi, la musica e il totale rifiuto dell’informatica.
ROMA. Chi frequenta la stazione Termini di Roma, probabilmente, si è abituato, a certe scene di ordinario degrado, solitudine, abbandono. Ma chi non è solito assistere a taluni spaccati quotidiani, ordinari, di assoluta desolazione, non può non interrogarsi. E alla vista di un braccio e due gambe che fuoriuscivano da un asciugamano da mare, rosa, con i disegni dei cartoni animati e tanti cuoricini fucsia, ammassato sul marciapiede, noi che non siamo frequentatori abituali, ci siamo fermati. Con noi, però, nonostante la mole umana che transitava proprio in quell’istante, nessun altro.
di Libero Scoccimarra
PISTOIA. Ci abbiamo messo due mesi per scrivere questo frammento di dolere. Ci eravamo ripromessi di non farlo. In questa drammaturgia - "In Ginocchio – storie di mafia" - troppe parole ci avevano infastidito. Troppi sconcertanti insulti erano arrivati a noi pubblico che, incosciente della vera mentalità mafiosa, ci siamo sentiti colpiti da quelle frasi, da quei ragionamenti, da quelle accuse, che solo una persona che ha vissuto veramente la violenza della delinquenza organizzata di stampo mafioso può enunciare, sputandocela in faccia con la più grossa delle arroganze “io so! io ho visto! voi, siete tutti colpevoli!”. La lezione storiografica sul 41bis e sul 416bis fatta dal Sostituto Procuratore Claudio Curreli che aveva introdotto con dovizia e passione la mattinata, non era bastata a far capire quanta crudeltà e menzogna si celino dietro un mondo che non è parallelo a quello in cui viviamo, ma è al suo interno.
di Libero Scoccimarra
BUGGIANO (PT). A cosa serve il teatro se non a sognare! Ed è proprio questo il filo rosso che ha unito la giornata del 21 maggio nel nuovo (inaugurato poco meno un anno fa) e familiare Teatro Buonalaprima in località Pittini di Buggiano. Appena entrati si è sentita subito l'elettricità in questo foyer che ricordava più una piccola agorà, che un luogo d'attesa. Bambini, adolescenti e adulti che camminavano su e giù frenetici, indaffarati, con le teste che sembravano pensare ad altro, incuranti di chi entrava per acquistare i biglietti o semplicemente per curiosità. Loro erano lì e noi li osservavamo incantati. Abbiamo anche cercato di scambiare qualche parola con alcuni dei protagonisti, ma sembrava non esserci troppo tempo per le chiacchiere – perché oggi (o ieri o domani) in questo luogo, si fa e si farà teatro. E lo hanno dimostrato i tre gruppi guidati (due) da Luca Privitera e Elena Ferretti di Ultimo Teatro Produzioni Incivili e (uno) da Camilla Bonacchi – che oltre a essere gli artisti in residenza, curano i laboratori annuali della scuola di recitazione (e drammaturgia).
PISTOIA. Non sappiamo se si ispiri a quel romanzo, Margherita Asta; né, che abbia avuto la fortuna di leggerlo. Ma anche lei ha un dovere, proprio come Gabriel Garcìa Marquez: vivere per raccontarla. Sì perché anche a lei, la vita, ha dato un compito: fu solo un caso se la mattina del 2 aprile del 1985 anche lei, allora una bambina di soli dieci anni, non fosse sulla macchina saltata in aria a Pizzolungo, in provincia di Trapani, investita da venti chili di tritolo messi nel bagagliaio di un un’auto in sosta fatta brillare con un telecomando, la stessa elementare ed efficace tecnica usata poi con Falcone prima e Borsellino dopo. L’obbiettivo non erano certo la madre Barbara Rizzo e i suo fratellini gemelli, di sei anni, Salvatore e Giuseppe; per aria sarebbe dovuto saltare il giudice Carlo Palermo, che non ne voleva sapere di farsi i cazzi suoi con la storia della morfina distillata in eroina e messa sul mercato delle tossicodipendenze da quella montagna di merda che si chiamava e si chiama ancora oggi mafia e che non aveva nemmeno imparato la lezione, spiegata due anni prima, sempre da quelle parti, ad un altro impertinente e illuso robin hood, Giangiacomo Ciaccio Montalto.
PISTOIA. L’allestimento ha più il sapore dei giovedì siderali, quelli che Mauro Pompei, con la complicità culinaria di Alice Trippi, organizza, da qualche mese, nella sua libreria Lo Spazio, di via dell’Ospizio, a Pistoia. Legami, invece (senza accenti, scegliete voi: sostantivo o esortativo?), creazione dei Santimatti (Filippo Giansanti e Fabrizio Pelamatti) che segue Cloudtraits, si è materializzata domenica e lì, nel salone della sala da the, resterà fino a quando il caso lo vorrà, coincidenze che probabilmente si materializzeranno con la consumazione di almeno una delle funi che tengono unite le tre coppie di foto, corde che pendono dal centro delle iridi delle gigantografie di ciascun soggetto per depositarsi a terra. Che potrebbero anche essere lacrime insostenibili, ricatti spossanti, ricordi inalienabili.
PRATO. Non è l’opera più rappresentativa di Aristòfane, Pluto. Anzi, è quella che i critici dell’epoca segnalarono come il manifesto della decadenza, ma Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni, per progetto Zeta, prodotto dal Metastasio, hanno adottato una delle commedie tramandateci del drammaturgo pacifista per ambientarla in modo specifico, geografico, toponomastico e farne una rappresentazione, Plutocrazia, appunto, che è, contemporaneamente, un naturale saggio teatrale e un’indagine di mercato sociale, quello che oggi, proprio come allora, condiziona e opprime i rapporti interpersonali, prima che sociali. Sul palco del Magnolfi di Prato, poi, occorreva ci fosse anche un jolly: poliedrico, multitono, un saltimbanco del teatro, una macchina da recitazione, una palestra di duttilità scenica, Ciro Masella, insomma.
PISTOIA. È illuminata da un sorriso bellissimo, donna Tina, anche se è incazzata, ma parecchio incazzata. Il prossimo 23 maggio sono venticinque anni che è vedova; suo marito si chiamava Antonio Montinaro: era con Vito Schifani e Rocco Dicillo sulla Fiat Croma che precedeva quella sulla quale, a bordo, viaggiavano Francesca Morvillo e suo marito, Giovanni Falcone. Non vogliamo tornare su una delle pagine più truci e dolorose di questa Repubblica: i mafiosi coinvolti nell’attentato sono quasi tutti dentro, a scontare l’ergastolo. Quasi, tutti. Qualcuno l’ha fatta franca, perché “chi li doveva proteggere, se li è venduti”. L’ultima affermazione è virgolettata non perché si tema qualcosa: la pensiamo così – e non certo da oggi -, ma perché l’ha detta lei, donna Tina, la vedova del caposcorta di Giovanni Falcone, oggi pomeriggio, davanti alla teca posta nel piazzale della nuova Questura di Pistoia.
CAPANNORI (LU). Luca Manesini, il Sindaco di Capannori - persona apparentemente gradevole, non dovremmo sbagliarci -, lo sa benissimo che il lavoro, più che festeggiarlo, occorre trovarlo, di questi tempi. Ma al di là di ogni obiezione, più o meno compatibile con la drammaticità occupazionale dei nostri giorni, crede che un momento di memoria collettiva democratica, soprattutto perché gratuita, valga comunque una serata tutti insieme. E allora, chiamando a raccolta personaggi musicali decisamente lontani dai circuiti più inflazionati, ha organizzato, in piazza Aldo Moro, a Capannori, un altro 1° maggio, simile, per struttura e palinsesto, a quello capitolino di piazza San Giovanni, ma di ben altra tensione.
POMARANCE (PI). E se i Grappoli della Sarteanesi prendessero, tendenzialmente, il sopravvento modaiolo e una ditta si ingegnasse a farne dei gadget, portachiavi, piccoli portafortuna, tanto da indurla a prendere in seria considerazione anche e perché no, soprattutto, la propria folle creatività? Glielo auguriamo, al di là di quello che possa sognare la diretta interessata, non foss’altro perché se così fosse, farebbe una montagna di soldi. Il Comune di Pomarance, intanto, un borgo meraviglioso (da incubo, per arrivarci) che congiunge, dalla maestosità del proprio altopiano, le province geotermiche di Pisa, Siena e Livorno in un quadro interattivo grandangolare di distesa verde a perdita d’occhio, le ha commissionato un mega Grappolo (di piedi con patata – hallux valgus, per intenderci, alto più di tre metri), che ieri, 30 aprile, è stato inaugurato nell’atrio del Palazzo Ricci, con tanto di saletta antistante dove han trovato ospitalità i suoi grappoli già preventivamente disegnati, esposti, un paio di mesi or sono in anteprima, a Pistoia, nella libreria Lo Spazio di via dell’Ospizio.
LUCCA. Stasera, domenica 30 aprile, con il concerto di Bob Stroger, si chiude la nuova edizione del Lucca Blues Festival, una rassegna minima, ma non minore - visto che è patrocinata da Emergency e all’associazione di Gino Strada sarà devoluto l'inero ricavato, a offerta -, organizzata da chi, nel Blues, vede ancora, per fortuna, un angolo di guarigione, proprio come sosteneva John Lee Hooker, frase, la sua, fedelmente trascritta nel retro del depliant distribuito dagli addetti alla manifestazione: La religione è per coloro che hanno paura di andare all’inferno; la spiritualità è per quelli che all’inferno ci sono già stati.
PISTOIA. Uno spot, in diretta e senza prove, per Radio Monte Carlo, l’emittente monegasca che trasmette, puntualmente, musica di ottima fattura e che la sera, poi, diventa fascinosissima, di gran classe, appunto. Rebecca Scorcelletti è un diaframma colto, una vocalist dotta, un’attenta lettrice di storia e folk, un’appassionata musicista, una signora dotata di un sex appeal incalcolabile, una donna che riesce spesso a schivare gli uppercut della vita; quando li incassa, sa metabolizzare il dolore e trova il modo per come rialzarsi, come se non fosse successo nulla. Tutte queste cose non le abbiamo certo scoperte ieri sera, alla libreria Lo Spazio, in via dell’Ospizio, a Pistoia, dove la cantante livornese, da tempo naturalizzata a Pistoia, ha dato vita a un nuovo giovedì da Mauro, Voice-Only, con una sontuosa esibizione a cappella, chiedendo conforto solo al diapason che ha fatto brillare prima di ogni singola esibizione.
di Alagia Scardigli
PRATO. Al museo pratese Luigi Pecci, fino al 28 gennaio 2018, potrete addentrarvi dentro l’albero della vita del genere umano, un albero metaforico e reale che vi farà percorrere la nostra storia da quando l’uomo ha iniziato a creare arte scolpendo una linea su una roccia, dentro una caverna, arrivando poi all’apice della nostra ambizione: andare sulla Luna. Attraverso opere d’arte, tra cui molte di artisti conterranei, la mostra Dalla caverna alla Luna traccia il percorso evolutivo dell’uomo scienziato e dell’uomo artista. Arrivare sulla Luna ha significato molto per la ricerca scientifica, ma anche per il pensiero e dunque per l’arte, perché non ci può essere creatività senza osservazione della Natura, e questo percorso espositivo ne è la dimostrazione.
PISA. Una bella serata antica, datata (anni ’70), ma attualissima, in un sabato prossimo all’Off, di là d’Arno, sul limitare di un villaggio in festa. La città tutta, Pisa, rigorosamente sotto il segno dell’On, ingombrava fino alla paralisi viale Mazzini, prendendo in ostaggio almeno tre dei ponti che uniscono le due rive del fiume. Al Teatro Rossi Aperto invece, luogo di una bellezza e unicità particolarissime, una chiesa, divenuta un teatro e trasformatasi poi in una zona promiscua, una fly zone che i Centri Sociali di tutto il mondo sognano di poter occupare tutte le notti, uno stuolo di donne, guidato da Maria Paternostro, leader degli ScandaloSoBrio (Scandaloso Brio, o Scandalo Sobrio, dipende da come vi svegliate) ha organizzato No woman no die, un’altra occasione per ricordare ai maschi (gli uomini lo sanno) che le donne sono semplicemente complici, al 50%, di un percorso, un sogno, un progetto.
Leggi tutto: Se non riuscite ad amarle, rispettatele, almeno
di Virginia Longo
LECCE. Come la Pasqua e il Natale, c’è un evento mondano che colora Lecce ogni anno e gli regala un tocco di glamour. Il Festival del Cinema Europeo anche quest’anno arriva con il suo carico di film. C’è la sezione dedicata ai cortometraggi, ai film europei, al Premio Mario Verdone, al concorso Ulivo d’Oro e ovviamente la sezione dedicata ai protagonisti del cinema italiano ed internazionale. Quest’anno il piatto è particolarmente ricco. Partenza sprint, lunedì 3 aprile, con Carlo Croccolo, volto celebre in tanti film di Totò, che riceve l’Ulivo d’Oro alla carriera. In serata è stato proiettato il film di Corbucci Chi si ferma è perduto, restaurato dalla Cineteca di Bologna. Martedì 4 aprile invece è arrivato Valerio Mastandrea, tutto arruffato e con le stesse polacchine scamosciate ai piedi con cui incede in tanti suoi film. Alcuni suoi ruoli ci hanno emozionato tanto, altri ci hanno fatto piegare dalle risate. L’attore romano è uno di quegli attori che non può lasciarti indifferente, non è il classico bellone ma ha quel fascino tutto intellettuale e malinconico che pochi attori italiani trasmettono.
di Luigi Scardigli
CI SONO persone che rappresentano un’epoca. Pino Daniele è l’anello di congiunzione tra la Napoli melodica, quella che si è tramandata nei secoli fino agli anni ’70 e quella dove Scampia, Le Vele, Secondigliano, i Quartieri Spagnoli non sono soltanto il centro d’affari della Camorra. A sdoganare quei palazzi, e soprattutto quella gente, ci ha pensato lui. Con la sua musica, con la sua rabbia melodica, con le sue denunce, con quelle urla lancinanti emesse in si bemolle che hanno finito per raccontare, a tutti, i colori di quella città. Approfittando anche e soprattutto di sontuose collaborazioni artistiche, come Pat Metheny, ad esempio, Eric Clapton (che ne dipinge un profilo straordinario) Al di Meola, Phil Manzanera, Wayne Shorter, YellowJackets, Steps Ahaed, Billy Cobham, Vinnie Colaiuta, Steve Gadd, Peter Erskine e una miriade di mostri sacri internazionali, arrivando fino alle nostrane Ornella Vanoni, Chiara Civello, Fiorella Mannoia, Lina Sastri, o di amici del calibro di Mario Biondi, Vasco Rossi, Claudio Baglioni, dei fortunatissimi Jovanotti ed Eros Ramazzotti, o di amicizie strette, strettissime, con personaggi indimenticabili, per lui e per noi: Massimo Troisi.
FIRENZE. Dal Senegal. Dall’Eritrea e da altri Stati dell’Africa dove chissà come si potrebbe stare se l’Occidente tutto, guidato dal capitalismo, non li avesse dissanguati, resi schiavi e costretti poi a fuggire per cercare un posto dove vivere e morire in pace. Paradosso vuole che ad ospitarli siano proprio quei Paesi che hanno loro succhiato risorse, sangue e dignità e che oggi, paradossalmente, si ritengano invasi. Un corto circuito mostruoso, nel quale attingono risorse e ricchezze una miriade di speculatori. Poi, però, esiste altro, che a Firenze, ad esempio, si chiama MigrAzioni – il teatro tra le comunità per la comunità – e che al Mila Pieralli di Scandicci, alla periferia inurbana di Firenze, ha portato in scena Sandokan, dello Zaches Teatro, in coproduzione con la Fondazione Teatro della Toscana e in collaborazione con Sociolab Ricerca Sociale, il tutto patrocinato dal Comune di Scandicci.
PISTOIA. Quanto tempo ci resta, ancora. Difficile, prevederlo, soprattutto in questa stagione. Poco o tanto che dovesse essere e che sarà, sarà bene impiegarlo a ricordare, che spesso, è l’unico sollievo. E la grande condanna. Mauro Pompei, titolare della libreria Lo Spazio, in via dell’Ospizio, a Pistoia, ieri sera, il suo giovedì degli apericena che non si chiamano così ma che sono in buona sostanza proprio degli apericena, se l’è voluto prendere tutto per lui, trasformando i suoi ospiti dei giovedì precedenti e di quelli che verranno in spettatori. Lo ha fatto confessandosi. Lo ha fatto nel modo migliore nel quale riesce a pensare, in romanesco, slang che gli appartiene perché lì è nato, cresciuto, perché lì ha coltivato i sogni, raccolti però chissà da quale altro fortunato viandante, proprio mentre lui, armi e bagagli, cercava altrove un’altra via.
PISTOIA. Iniziano ad assumere una loro precisa e indefinibile fisionomia i Giovedì a Lo Spazio, in via dell’Ospizio, a Pistoia. Una libreria era e una libreria ha tutto il sapore di continuare a essere, quella di Mauro Pompei, ma con il trascorrere dei Giovedì, per un meccanismo plausibilissimo, che è quello dell’orgoglio dell’appartenenza, il salone che ospita gli artisti e aspiranti tali diventa puntualmente un’altra cosa, che è esattamente un po’ di tutti quelli che ci passano. E non perché le foto di Mariangela Della Notte siano ancora lì, appese, o perché sul pavimento si possano ancora trovare schegge di vetro di un Grappolo della Sarteanesi, o perché durante le vivande si parli di Sara Quiriconi o del Gatto Mèzzo.
PISTOIA. È un avvocato (avvocata, checché ne voglia la new age, fa ridere). È atleticamente preparata (non è assurdo pensarla inerpicarsi con disinvoltura su ghiaioni ripidissimi) e ha un sorriso promiscuo: tenero, in termini assoluti; imbarazzante, a volte. Ieri, per la prima volta da quando ci conosciamo, abbiamo avuto l’opportunità di sentirla cantare. E suonare. Eravamo da Mauro, alla libreria Lo Spazio, a Pistoia, in via dell’Ospizio, sì, quell’alcova incredibile di buoni propositi che il giovedì si trasforma in qualcosa che parrebbe essere la sua naturale ramificazione. Sara Quiriconi ha aspettato che la sua gente fosse presente, prima di iniziare a esibirsi. Prima, anzi, è andata a salutare un suo vecchio mentore, Roberto Carifi, il professore Roberto Carifi, che abita nel palazzo di fronte alla libreria. In altri tempi sarebbe stato in sala, a rimirarla. In altri tempi.
PISTOIA. Era solo certa, da bambina, che non avrebbe fatto decidere agli altri il proprio tempo, lo scandire dei suoi ritmi e che non si sarebbe mai sposata secondo la canonicità del matrimonio: con l’abito bianco, in una Chiesa affollata e lei, principessa, che sfila tra due ali di folla. Ma non pensava, in modo ossessivo e compulsivo, che da grande avrebbe poi fatto la fotografa. E invece. Mariangela Della Notte, che espone alcuni dei suoi scatti, anzi, autoscatti, fino al prossimo 12 marzo nei due saloni della libreria Lo Spazio, in via dell’Ospizio, a Pistoia, la fotografa la fa di professione, da poco più di due anni. È arrivata a questa invidiabile posizione artistica saltellando, faticosamente ma ostinatamente, lungo le isole dell’esistenze, trampolini e trabocchetti disseminati lungo il percorso di ognuno di noi, il suo compreso, ovviamente.
PISA. Solo il bandleader, Danny Bronzini, la chitarra più giovane di Lorenzo Cherubini, è di casa. Gli altri tre, colleghi e amici – scusate, amici e colleghi, di vecchia data – vivono non distanti: Riccardo Onori, lo special guest della serata al Lumière a Pisa, chitarrista storico di Jovanotti, è pratese; Filippo Guerrieri, alle tastiere, un concentrato di passione e informatica, è di Lucca e la batteria, Enrico Cecconi, allievo adolescente, trentacinque anni fa, di Ginger Beker, è pistoiese, anzi, fornacino, a essere pignoli. E ieri sera, a due passi dall’Arno poco prima di piazza dei Cavalieri, in una sala una volta cult cinematografico, il quartetto si è messo all’anima di scatenare un piacevolissimo girone infernale inanellando, in sincronica successione, pezzi di pregiato livello e valore musicale.
SANTA CROCE (PI). È uno dei posti più anonimi della Toscana, Santa Croce sull’Arno: in realtà, non esiste; è un work in progress, una fabbrica costante, ma i pochi indigeni preesistenti all’industria hanno, nel tempo, fatto tesoro delle ondate di lavoratori che hanno ingrossato e contaminato la popolazione residente e da qualche anno, lungo una bisettrice geografica che coinvolge Pisa e San Gimignano, il Comune del pisano lambito pericolosamente e magnificamente dall’Arno è un fulcro artistico di spessore. Soprattutto da quando chi di dovere – e sono in molti, per fortuna – ha iniziato a tessere la tela della sostenibilità quotidiana, quella che non può certo esimersi dai sistemi di produzione.
AGLIANA (PT). Dennis Kelly è uno scrittore britannico: si occupa di cinema, televisione e teatro e più di dieci anni fa, pensando al palcoscenico, ha scritto After the end, uno psicodramma dai contorni imprecisati ma con la certezza di mettere a fuoco, fino alla propria prostrazione, il genere umano. Dora Donarelli, pezzo pregiato della Compagnia Il Rubino, ha individuato in Tania Ferri e Marco Strobbia i due sopravvissuti ad un’improbabile esplosione atomica e ispirandosi nemmen tanto liberamente a Dopo la fine, ha scritto Ti porto in braccio, affidando il sottofondo musicale a Cosimo Maria Palopoli. Una proposta coraggiosa, impegnativa, articolata, che si sviluppa sullo sfondo di un’unica scenografia: il rifugio antiatomico di Mark, pertinente alla casa acquistata anni prima, dove il giovane proprietario conduce la sua amica Louise, stordita da una notte di eccessi alcolici, facendole credere di averla coraggiosamente salvata da un’esplosione atomica.
PISTOIA. Quasi settantamila visite in poco meno di ventiquattrore, con oltre duemila condivisioni. Ferruccio Scorcelletti, musicista, poeta, agronomo, innamorato della propria città, Pistoia, non ha potuto e voluto resistere a dare il proprio contributo all’incoronazione della sua culla a capitale della cultura e, scherzando e ridendo, ma quasi tutto sul serio, ha allestito, con la dovizia che compete agli artigiani professionisti, un video-stornello. Per vederlo, inutile che vi si suggerisca di andare sulla sua pagina facebook o di cercarlo su youtube: