FIRENZE. Ha fatto anche un piccolo accenno di break dance, scimmiottando, con una geniale vena umoristica, anche l’intramontabile Jako. Quelli che l’hanno applaudito ieri (si replica stasera, sabato 11 novembre, alle 21) a scena aperta e anche dietro il suo esplicito suggerimento (ogni tanto espone un cartello con le scritte degli sketch che andrà a presentare; talvolta, c’è scritto applausi), al Teatro di Rifredi l’avevano già visto; non ricordiamo quando precisamente, ma sicuramente dal 1992, da quando iniziò a portare in giro per il mondo La lettera, il capolavoro anomalo di un personaggio obliquo dell’intellettualismo francese, Raymond Quineau, lmanipolato, più che liberamente tradotto e catapultato in scena. Un po’ Jacque Tati, ma anche parecchio i Brutos, nonostante sembri, in realtà, un contrabbassista jazz anni ’50, Paolo Nani è veramente un animale del linguaggio del corpo, delle orbite, delle mani e delle sue incalcolabili proprietà aritmetiche ed espressive.

Definirlo mimo, come si legge su qualsiasi motore di ricerca, è oggettivamente riduttivo e non rende completamente l’idea del suo camaleontismo. Un clown della migliore tradizione circense, un equilibrista di rara precisione, un comico keatoniano, il funambolico sessantunenne ferrarese, da molti anni in pianta stabile a Vordingborg, in Danimarca, è uno dei pezzi più pregiati della pedagogia teatrale, facendo incetta di premi nel settore in tutto il mondo. La storia della sua lettera è una traduzione fisica, mimica, umorale e concettuale delle novantanove versioni stilistiche e grammaticali di quella autentica e originaria di Quineau, che si materializza, per esigenze scenografiche, attorno a un tavolino, posto al centro del palcoscenico del teatro fiorentino. Su questo, trovano spazio, e funzione esistenziale, un ritratto fotografico femminile incorniciato, una bottiglia (del peggior rum di Caracas, probabilmente, visto che appena deglutito a sorsi, lo risputa), un bicchiere e una serie di fogli A4, buste per corrispondenza e una sfilza di francobolli, tutto l’occorrente insomma per dare vita a un epistolario postale. Le lettere, che non saranno mai scritte, né tanto meno inviate a destinazione perché nessuna delle penne a sua disposizione scrive, hanno come mittente quindici personaggi in cerca d’autore, prima che di socializzazione; sono horror, pigro, ripetuto, western, osceno, senza mani e via via una serie di circostanze aggettivanti che decretano il sapore della mimica corrispondenziale, con Paolo Nani che riesce a indossare, a velocità strabiliante, con i soliti pantaloni alla francese sorretti da bretelle e una fruits bianca, l’umore di ogni singolo mittente. Un’ora abbondante di sit difficilmente immaginabili e traducibili che trovano invece spazio, forma e ragione istantanea di esistere, seppur maniacalmente, nel breve illuminarsi dell’occhio di bue lungo la sagoma del furioso romagnolo, che dopo il trittico di Rifredi sosterà cinque giorni a Pistoia, al Centro culturale Il Funaro (Antonella Carrara, tra il pubblico, era lì per questo, con molta probabilità) per dare vita a un workshop. Occasione ghiotta, quasi imperdibile, per avvicinarlo di nuovo.

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