PISTOIA. Siamo tornati a vederlo, al Piccolo Teatro Bolognini, di Pistoia, dopo un pomeriggio diplomatico di fiere e vanità al Manzoni, La scortecata, per due semplici motivi: il primo, è che non ci è costato nulla (facciamo parte di quella schiera di spettatori privilegiati ai quali sono puntualmente e gratuitamente riservati i posti in sala: ogni tanto dovremmo sforzarci di meritarli); il secondo, perché Emma Dante (sua la regìa), gode di una profondità emotiva che travalica i tempi, i generi e consegna al teatro la sua funzione/finzione migliore: la parola, il corpo, la passione. Tanto che nei panni delle due vecchissime sorelle intente a succhiarsi i mignoli per riuscire a sedurre il giovane re che abita poco distante dalla loro vecchia e modesta abitazione, la fuoriclasse palermitana, abile rilettrice della novella seicentesca di Giambattista Basile contenuta nel Cunto de li cunti, ci mette, così come sono, con muscoli poco palestrati e tatuaggi coperti, Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola.

E così come ci è successo al Teatro di Rifredi, dove avemmo, la scorsa stagione, la fortuna e l’onore di poterlo vedere la prima volta, anche ieri sera, con La scortecata, ci siamo nuovamente riconciliati con il Teatro, quel luogo magico e sacro, che ha il dovere, per esistere, di lasciare segni profondi e indelebili, spogliando l’identità dei protagonisti fino alla loro completa nudità per riconsegnarli alla forza della storia, alla poetica della narrazione, alla stupefacente magia della novellistica. Certo, ci vogliono dei fuoriclasse, per ottimizzare alcune operazioni, ma con Emma Dante lo si diventa per cause di forza maggiore, un’addestratrice di combattenti che ricorda il sergente Hartman di Full Metal Jacket; il palcoscenico sono le terre nemiche della piana del Vietnam; lì, ci si va solo per servire la Patria, dimenticando le nostre umili o nobili origini e se qualcuno non regge l’urto, è libero di decidere di farla finita, come Palla di lardo. I marines che resistono, però, sono quelli che sapranno vivere in ogni possibile contesto e situazione, servendo puntualmente la causa della rappresentazione. Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola sono due scampati all’astuta resistenza dei musi gialli, intellettuali pacifisti che ai perdonabili vizi adolescenziali hanno preferito libri, studio e sacrifici e che quando scoppia la guerra, ogni volta che si apre il sipario, non si tirano indietro, ma vanno negli avamposti, a guardare il nemico negli occhi, per consentire alla truppa di avanzare. Adorabili professionisti, i due mattatori, che, cessato il fuoco, tornano a fare i conti con la propria esistenza, fatta di tutto il resto che esuli la scena, e nel postrappresentazione si dilettano a sfogliare e condividere i ricordi giovanili, preferendo affogare nel vino che nelle solite chiacchiere per addetti ai lavori. Certo, La scortecata vuole anche raccontare il dramma dell’ingiustizia (in)naturale, della solitudine, dell’incedere dell’età e le varie alchimie utilizzate per provare a fermare il tempo fino al punto che anche una vecchia decrepita mai convolata a nozze neanche nel fiore degli anni possa sognare di essere desiderata e che la magia del ringiovanimento toccata alla sorella possa suggerire all’altra, restata sola, lo scortecamento, estrema ratio, sulle note di Cammina, cammina, di Pino Daniele, per cancellare dal corpo e dalla memoria tutta una vita, quella tratteggiata dal reciproco rinfacciarsi vizi e debolezze, accompagnati dalla voce di Pietra Montecorvino, Massimo Ranieri e alcuni motivi della canzone napoletana, che sembrano adattarsi perfettamente tanto alle precedenti novelle di Giambattista Basile, quanto alle postume reincarnazioni del teatro di Emma Dante.

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