PISTOIA. Siamo da sempre propensi alle riletture, pur senza scomodare Caetano Veloso e Gilberto Gil, fautori, a tal proposito, per quel che riguarda la musica. E dopo Luigi Pirandello, stravolto con meno impeto e stravaganza, l’Associazione teatrale pistoiese prosegue il tema dei riadattamenti ospitando, nella sua prestigiosa succursale, sfruttata troppo poco, a nostro avviso, il piccolo Teatro Bolognini, La bisbetica domata, di William Shakespeare. La rappresentazione arriva dopo tre repliche mattutine effettuate dalla Factory Compagnia Transadriatica per gli studenti del corso secondario d’istruzione e le voci scolastiche, che la precedono con enfasi, esercitano il loro benefico effetto, visto e considerato che il Teatro è finalmente pieno. Dopo secoli e secoli di riadattamenti, anche Shakespeare, probabilmente, si sarà stufato di assistere a piccole derivazioni tematiche delle sue opere e al cospetto di questa, forse, non senza qualche rimbrotto, si sarà anche congratulato.

I disappunti, possiamo immaginare, riguardano soprattutto o soltanto, è meglio dire, l’addomesticamento di Caterina (Angela De Gaetano), civilizzata, disbisbeticizzata da Petruccio, che per sgrezzarla, dopo l'inevitabile affidamento matrimoniale del padre Battista (una remota reincarnazione dell'indimenticabile Joker), si affida a una dottrina che l’autore all’epoca ignorò, ma che oggi, purtroppo, è tristemente in voga: la persuasione coatta, che si materializza nel suo più bieco e pieno splendore dietro un’insana somministrazione di violenze. Attorno a questa variante impazzita rispetto agli scritti originali ruota l’intera rappresentazione, manipolata per la bisogna da un grande direttore d’orchestra, il regista Tonio De Nitto, non nuovo a queste opere concertistiche impreziosite da un rimare asintattico di stile enigmistico, che nel caso specifico si è affidato alla traduzione e al riadattamento di Francesco Niccolini e a Paolo Coletta per le musiche, Roberta Dori Puddu per le scene e la realizzazione pittorica, Luigi Conte per la scenotecnica costruttiva, Lapi Lou per i costumi e Davide Arsenio per le luci e affidando i vari personaggi al camaleontismo di Dario Cadei, Ippolito Chiarello, Franco Ferrante, Antonio Guadalupi, Filippo Paolasini, Luca Pastore e Fabio Tinella. Un incedere incalzante, melodico, più che musicale, con qualche parolaccia di troppo buona per un ambientamento oltremodo contemporaneo e una frenetica, meravigliosa sintassi scenica, che catapulta l’inarrivabile William Shakespeare fino ai giorni nostri come se fosse, al di là della sua immarciscibilità, autore nato negli anni ’80. Ma il teatro, nelle sue innumerevoli accezioni, è anche e soprattutto questo, e allora, in piedi ad applaudirli tutti i protagonisti di questa rilettura, capaci di far rivivere il greve mercimonio umano, in cambio di doti, reali o presunte, le società patriarcali per fortuna disintegratesi e tutte le varie e coloratissime meschinità umane, fino a quella, audace, deplorevole, disgustosa, violenta, letale, ma non confermata dalla storia alle sue origini, del maschilismo più bieco, che nemmeno la tragica, eterna, leggendaria lungimiranza di un preveggente della forza di Shakespeare avrebbe potuto immaginare arrivare a così bassi e infimi livelli di esternazione.

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