PISTOIA. Anche una sillaba sarebbe stata superflua, di troppo. Paola Tintinelli non ha bisogno di parlare; al diaframma, alla favella, al suono delle parole le corrono in soccorso un corpo disegnato da un writer vegano, ma ubriaco, una faccia da cartoon e una testa disallineata. Mario, poi, il postino, sul palco della Segheria, a Pistoia, la domus degli Omini, non ha davvero bisogno di dire nulla: la sua vita è incartapecorita nel suo lavoro e questo si riduce, con commovente orgoglio, a un armadietto, custode dei suoi ferri del mestiere, oltre che delle sue aspettative: la borsa che ospita la corrispondenza, meticolosamente e chapliniamente timbrata prima della consegna; il manubrio della bicicletta (il resto del mezzo è immaginabile), la divisa da postino, ma anche la ciotola per il rancio della pausa pranzo, scandita, all’inizio e alla fine, da un campanellino che lui stesso aziona; un thermos per le vivande, alcuni bonsai che colorano e impreziosiscono la sua solitudine, ma anche un panettoncino natalizio, una bottiglia, mignon, di spumante, una bandierina artigianale che segna l’approssimarsi e la consumazione delle festività natalizie, salutate da una girandola e piccoli e innocenti mortaretti.
C’è anche lo stuoino verde, la cassettina delle lettere fuori dall’abitazione, come se fosse quella di una villetta ai piedi delle Tofane e un orsacchiottino da benvenuto. E una sveglia, che scandice l’inesorabilità del tempo e la sua fortuna, perché prima riuscirà a decomporsi, meglio sarà. Per lui. Mario non lavora per vivere; Mario vive per lavorare. A supporto e corollario della sua esistenza, invisibile, più che grama, un po’ di musica, che fuoriesce da un giradischi e una stazione radio, dai contenuti afgani: notizie burrascose e un bollettino meteo che sa di catastrofe, voce che arriva da un altoparlante attiguo ad uno specchio posto, abitualmente, agli incroci pericolosi, per avvertire gli automobilisti e i postini, naturalmente. Tutto qui, in uno spazio angusto, più che ridotto, che è la conditio sine qua non della Segheria di Sant’Agostino, un centro di resistenza e resilienza, popolata da cast non contemplati dai circuiti, ma solo perché disadatti ad ambientazioni fuori stagione, che diventano, prima e dopo la loro esibizione, parte del popolo spettatore. Siamo negli ultimi avamposti della zona industriale di Pistoia, oltre l’ultima rotonda, dove il lavoro del ‘900, la fabbrica, le imprese, le banche, ritorno alle occupazioni del secolo precedente, quello dei campi. La Segheria è lì, un posto non contemplato non solo da GoogleMap, ma anche dai passatempi canonici, nottibianche comprese. Ieri sera, prima e dopo la performance di Paola Tintinelli, conclusasi con un'autosepoltura, nel patio cementato della Segheria, dove ci sono poltrone, sedie, posacenere, cestini per raccolte differenziate e addirittura un bocciodromo, la Direzione artistica dell’Associazione ha anche allestito una sorta di apericontro, con cocktail improbabili, carote ammorbidite dal calore e le immancabili uova sode, che hanno comunque riscosso un dignitosissimo favore. La musica è stata quella scritta da Mogol, soprattutto per Lucio Battisti, personaggio quest’ultimo recuperato e reso alla poesia solo post mortem. A quel crocchio inincorniciabile della Segheria, ieri sera, Mario, è comunque riuscito a recapitare la corrispondenza, nonostante su quest’ultima non ci fosse il numero civico, ma nemmeno l’indirizzo. Trovarli, però, non è stato difficile; il sabato sera, a Sant’Agostino, c’è posto solo per i lavoratori sfruttati dell’Answer, le prostitute di colore che si accontentano di poche decine di euro e per questo si nascondono e per Gli Omini, che stanno in fondo, dopo l'ultima rotonda.