PECCIOLI (PI). La stima professionale che nutriamo per Filippo Timi e Lucia Mascino (foto Maria Sgueglia) è letteralmente sconfinata. Nei confronti del joker umbro, poi, perdiamo, sovente, addirittura l’obbiettività, perché siamo dell’avviso che sia uno dei pochissimi ad avere tutta la genialità dei fuoriclasse e a venderla come se si trattasse di spudorata sfrontatezza e appartenesse a un esordiente. Lucia Mascino, che con Marina Rocco rappresenta una delle due inseparabili muse dell’harem timiano, appartiene alla schiera delle giovani realtà attoriali con uno spiccato camaleontismo; il ruolo dell’isterica che, con il trascorrere delle rappresentazioni o delle pellicole tende ad ammorbidirsi, è quello che meglio la descrive, ma è, essenzialmente, un’adorabile tuttologa, capace di indossare sistematicamente gli abiti dell’amante, della mamma apprensiva o dell’amica complice e sbadata. Insieme, possono essere esplosivi, come abbiamo avuto il piacere di poterlo constatare assistendo ad alcuni loro spettacoli.
E così sarebbe potuto essere, ieri sera, all’anfiteatro Fonte Mazzola, a Peccioli, nella sconfinata, eolica e borghesissima campagna pisana, sestultimo appuntamento della rassegna 11Lune, con alcuni musicisti del Maggio Musicale Fiorentino che hanno rappresentato la scelta acustica, classica, della colonna sono del Piccolo principe, breve saggio sulla sopravvivenza degli affetti e dei valori che Antoine de Saint-Exupéry scrisse nel 1943 per un pubblico apparentemente di adolescenti, forse e che da allora cinema, teatro e musica si contendono a suon di colpi bassi. Anche la coppia Mascino-Timi, che si è cimentata nell’elaborazione drammaturgica, quanto nella regia, della riproposizione teatrale, non si è voluta sottrarre dal fascino seduttivo di quella innocente, ma forsennata, favola per ragazzi e in concomitanza con i festeggiamenti del cinquantenario dello sbarco dell’uomo sulla luna, hanno voluto omaggiare l’impresa dell’Apollo 11 con quella involontariamente descritta dal favolista aviatore francese, abbattuto sulla Manica durante un volo di ricognizione da un aereo del Luftwaffe tedesca l’anno successivo a quello della pubblicazione della fiaba che gli è valsa l’eternità. L’equazione, in più di una circostanza, è risultata esplosiva; i cinque del Maggio Musicale Fiorentino in rigoroso bianco che solfeggiano arie di rara bellezza e candore disposti poco più in là, su un palco preso d’assalto da una quantità industriale di insetti e volatili notturni, rispetto ai due meravigliosi intrattenitori, cronisti alla bisogna: un’elegantissima Lucia Mascino in completo lungo con pantaloni con spacco color cachi con risvolti azzurri che spesso le rimangono sotto i tacchi delle scarpe e uno scoppiettante Filippo Timi, giacca e pantaloni rossi, attillatissimi fino ai malleoli, scoperti dagli stivaletti neri, calzari di innumerevoli battaglie con tanto di foulard rosso a coprirgli lo sterno villoso. La condizione cromatica c’è tutta; la classe, non ha bisogno di essere messa alla prova con nessuno dei sette mattatori; la novella, dal canto suo, offre il fianco a due straordinari rilettori della portata della coppia. Si parte, ma con il freno a mano tirato. La stragrande minoranza del pubblico che gremisce l’anfiteatro di Peccioli, che conosce la forza dirompente della coppia, stenta a credere come la titubanza possa aver preso il sopravvento. C’è qualcosa di inesploso che blocca la loro riconosciuta, debordante, oceanica tragicomica simpatia. Filippo Timi capisce che qualcosa non si è acceso, proprio come il velivolo dell’aviatore che si è fermato in un angolo sconosciuto della Terra dove è stato scaraventato il Piccolo Principe. E allora, in attesa di trovare un rimedio al motore che fa i capricci e alla serata che rischia di non decollare come dovrebbe, dalla tasca sinistra della giacca, l'incantatore perugino estrae gli occhiali, rossi, ovviamente, con le luci intermittenti sulla parte superiore della montatura, quelli con i quali si presenta, abitualmente, dopo gli spettacoli nei foyer dei teatri salutando la folla femminile che lo aspetta con un meraviglioso et voilà. Il contatto avviene, lo sente. Infatti, li toglie subito dopo, ma è un altro Filippo Timi: è quello che conosciamo, che amiamo, che applaudiamo asciugandoci gli occhi dalle risate a ripetizione: finalmente entra in funzione e da lì in poi è solo spettacolo, teatro, applausi. Diventa un serpente, una pecora, una tigre, una selva di rose; parla come un inguaribile gay fiorentino, un romano di borgata, un napoletano che soffre di rimpianti, un meticoloso barese, un umbro di campagna. Lucia Mascino si rincuora; Stanlio si è svegliato, finalmente smette di stare in ansia per il suo compagno. Anche lei, invece che preoccuparsi di doverlo sorreggere, non si volta volta più precauzionalmente alla sua sinistra; vola spedita, con le paure e le volontà, precise e incorruttibili, del Piccolo Principe. La favola è salva; lo spettacolo pure.