di Letizia Lupino
PISTOIA. Venerdì sera. Un sonnacchioso ammiccare di un fine settimana che apre gli occhi come se fosse la prima volta. Ed è esattamente come se fosse la prima volta che il Piccolo Teatro Mauro Bolognini di Pistoia si lascia guardare sbuffando una luce soffusa da una bocca semi aperta. L’ingresso, silenziosamente incerto e gentile, ci lascia entrare invitandoci ad attendere gli Antichi Maestri della compagnia Lombardi-Tiezzi in collaborazione con Napoli Teatro Festival Italia. La predisposizione langue, la sala non è gremita. Una domanda. E nel dubbio della risposta il corpo si siede. Ciò che si para davanti, sul palco, ha le sopracciglia della sorpresa. La polvere ideale che aveva ricoperto gli Antichi Maestri viene soffiata via da una scenografia da finale aperto. Una contemporaneità che rimanda all’esperimento di Dogville. La scena è scarna, di quello che c’è non manca niente, e d’impatto. Tre enormi cubi luminosi che si allungano per tutto il palco sono i protagonisti momentanei. Spazio e Tempo confinati fisicamente nella quadridimensionalità di un limite. Tre cubi, tre divanetti, cinque quadri e tre uomini scandiranno il tempo di una vita con una sincronia essenziale che farà rabbrividire di piacere. La simmetria creata è la perfezione che ti rimette in pace; come quando dall’esatto centro si riescono a tagliare identiche fette di una torta.
Un nuoto sincronico nello spazio di un palco. I tre protagonisti guidati da fili invisibili danzano amalgamandosi. Tre mondi diversi che non parlerebbero la stessa lingua, se divisi. È un dialogo a due, Regere e Atzbacher, Sandro Lombardi e Martino d’Amico si intrecciano raccontandosi, con un botta e risposta, naturalmente veloce. L’uno raccolto nel suo cappotto sicuro e l’altro assetandosi e dissetandosi continuamente, nel guidare la storia incalzandola. È la voce narrante dello spaccato di vita che stiamo sbirciando. La terza voce, muta, è il corollario che ne consegue; parte integrante che non si fa sentire, ma si fa vedere. Irrsigler, Alessandro Burzotta, usa il corpo del personaggio come un colpo di tamburo ritmando quel frattempo che, in un’altra ala del castello della vita, viene raccontato. Vedendoli, ascoltandoli c’è da chiedersi se funzionerebbero allo stesso modo con un testo diverso. Ma non ha importanza perché quello che è stato messo in scena ha il solito fascino di un anziano racconta storie che avvolgendoci con le parole ci fa assaporare un racconto che non avremo mai la fortuna di vivere. Ciò che possiamo fare è non farselo bastare mai, goderne, foss’anche ad occhi chiusi. È tacito dunque che Antichi Maestri, ultimo libro della trilogia sulle arti di Thomas Bernhard ha di diritto conquistato, senza nessuno sforzo, il primo posto di un podio concettuale e ideale.