PRATO. Mancano, inevitabilmente, un sacco di dettagli, a cominciare dai viaggi/fuga senza meta che Humbert (Francesco Villano), a bordo della sua automobile, fa in lungo e in largo per gli Stati Uniti in compagnia di Lolita (Gaia Masciale), la sua amante/figlia adottiva. E mancano anche gli altri personaggi, fondamentali, sia per lo scrittore Nabokov, che per il regista Kubrick. Quel che resta, della About Lolita al Fabbricone di Prato (si replica sabato alle 19,30 e domenica, 28 novembre, alle 16,30) è un po’ poco - eccezion fatta che per Cara, di Lucio Dalla, quel capolavoro con il quale han deciso di congedarsi - e, contemporaneamente, decisamente troppo, con una miriade di riferimenti che fanno venire in mente quei liceali diplomatisi con il minimo della votazione (e che non sono poi andati all’Università) che, sotto interrogazione di storia, dicono tutto quel che hanno studiato il giorno prima, anche di italiano, filosofia e perché no, pure religione. Nemmeno l’amico/rivale (Andrea Trapani) riesce a innescare un qualsivoglia meccanismo di candida perversione, se non suscitare, durante tutto l’arco della rappresentazione, un cadenzato stridulo vociare da parte di tutti, come se i decibel fossero in grado di rendere l’idea.
Vero: le intenzioni di Francesca Macrì e Andrea Trapani, regista, la prima, e drammaturghi entrambi, non erano e non vogliono essere quelle di rileggere il testo del russo, né di riambientare la pellicola del fuoriclasse statunitense, ma riuscire a focalizzare, su un campo da tennis, dove il piacere del coito e dell’amplesso sono rappresentati dai mugolii classici dei tennisti sotto sforzo, le controversie passioni che agitano uomini (meglio scrivere maschi) che si imbattono in voluttuosissimi, nonché peccaminosi, spesso incestuosi, sempre illeciti e illegali e a volte stomachevoli, rapporti con delle adolescenti. Questa chiave di lettura, che prende inesorabilmente spunto (il titolo, altrimenti, avrebbe dovuto essere un altro) dal racconto sovietico e dal film americano, merita, senza meno, un approfondimento sociologico, morale, politico, storico e giudiziario che non può certo essere affrontato in un centinaio di minuti e a teatro; tema puntualmente ricorrente a qualsiasi latitudine e in ogni epoca che continua a essere trattato non con la giusta determinazione che occorrerebbe usare. Credevamo, pensando all’improbabilità di una riscrittura, seppur minimamente fedele, del testo e del film, che nelle intenzioni di Biancofango, che firma la produzione, coprodotto dal Teatro Metastasio di Prato e Fattore K ci fossero anche quelle di provare a fotografare, collocare e analizzare, prima ancora di capire, che fine mai abbia(no) fatto tutte le Lolite del mondo. E ce ne sono in quantità industriale, sparse, eterogeneamente, su tutto il pianeta: qualcuna è schiava di emiri e ras, altre, soggiogate da boss sudamericani e orientali, molte altre ancora vittime silenti di una sottocultura patriarcale che fatica a emanciparsi e che gode di peccaminosi silenzi e connivenze. Qualcuna si è addirittura sposata, con il padre; nulla di strano, però, né di inquietante: si tratta di unioni artistiche.