di Letizia Lupino
PISTOIA. Sono in ritardo. Quelle poche centinaia di metri che mi separano dal Teatro Manzoni di Pistoia li bevo tra il gelo che mi stuzzica le guance e lo zaino che fastidiosamente scivola dalla spalla. Arrivo trafelata in galleria centrale: mi sembra di essere così vicina al palco. L’atmosfera buia mi avvolge immediatamente; senza darmi nessun punto di riferimento mi siedo inciampando. Solo pochi minuti e Argante ha già calcato la scena. Teatri di Pistoia infatti accoglie Il malato immaginario di Molière. Un’opera gigante, un classico che la regia di Guglielmo Ferro rinfresca, rimanendo pur sempre nei limiti di un testo del’600. È il teatro come finzione, come filtro della realtà che fa sì che Argante si serva della malattia non solo per elevare uno status che sembra languire, ma anche per giustificare una lisa volontà nell’affrontare i dardi dell’autrice fortuna. Argante, infatti, sembra palleggiare tra le facili macchinazioni di Bellonia, sua seconda moglie, tra gli infiammati sospiri di sua figlia Angelica e fra il Dottor Diaforetico, figlio d’arte, che pare divertirsi nel somministrare variegate medicine nel tentativo nullo di guarire la paura di vivere di Argante.
Ciò che salta all’occhio è il taglio volutamente ironico di ogni personaggio. Lisa Galantini, nel ruolo della serva, brilla in questo, un tono che sottolinea la gestualità marcata che conferma quel carattere che sarà risolutore dell’eventuale lieto fine. Se non fosse per Molière, sembrerebbe di assistere a un teatropanettone con tutti quei classici artifici per strappare una facile risata. Ma, forse, sta proprio in questo la freschezza che ho avvertito nel guardare un’opera teatrale che, nei miei ricordi adolescenziali, è ricoperta di noia e polvere: la semplicità del riso. E di questo se ne deve godere. Due ore che scivolano tra le mani tra la bravura di Emilio Solfrizzi di cui ancora ricordo una vaga distanza nel personaggio di Caro Maestro e la scenografia pulita e funzionale nell’attrarre lo sguardo del pubblico solo ed esclusivamente verso il centro del palco, lasciando tutto il resto dello spazio alla vitale energia dei personaggi che via via si susseguiranno. Fra gli altri, Antonella Piccolo, Sergio Basile, Viviana Altieri, Cristiano Dessì, Pietro Casella, Cecilia D’Amico e Rosario Coppolino aggiungono un’ulteriore stella al medagliere già decorato. Ciò che dispiace, al di là del valore assoluto che i grandi classici hanno e avranno, è che un teatro come il Manzoni di Pistoia non sappia dare il giusto valore anche a quelle piccole opere che classiche non sono, ma che comunque al classico devono tutto.