FIRENZE. I rigurgiti sono sempre lì, apparentemente dormienti, in stand by, come si dice, ma puntualmente in agguato. Thomas Bernhard lo aveva capito perfettamente e nella sua ultima opera, Heldenplatz (Piazza degli eroi), aveva lasciato lucida, nitida e feroce testimonianza di quello che sarebbe potuto accadere di lì a poco: e che è capitato. E che purtroppo, con conseguenze inimmaginabili e inenarrabili, accadrà, quasi sicuramente. Roberto Andò, subodorando il torpore di un’atmosfera sempre più asfissiante, un po’ ovunque, non solo in Austria; anzi, dell’Austria ci interessa tutto il giusto, ha deciso di portarlo in scena, uno dei capolavori dello scrittore austriaco (alla Pergola di Firenze, fino a domani, 28 febbraio), affidando le armi della lunga estenuante rappresentazione a due cavalli di razza: Renato Carpentieri e Imma Villa, sui quali il regista ha costruito ogni onere dello spettacolo. Il teatro, si sa, è una forma aulica di denuncia, consapevolezza, rivoluzione, ma necessita di poesia perché possa dirsi teatro e non propaganda e diventare, in questo suo viaggio immaginifico, spettacolo. Bene, così è stato. Due ore e mezzo senza alcun sussurro, né grida, se non il preoccupante vociare di sottofondo che giunge, nitido, dalla piazza sottostante la villa, piazza degli eroi, con la governante che prepara il trasloco verso la provincia meno surriscaldata e febbrile e il fratello del professore suicida che amplifica il gesto estremo del suo parente più stretto denunciando un’intera società che ha già assunto il vizio, letale, di sminuire ogni significativa dimostrazione, voltandosi, con complicità, dall’altra parte.
Un’impotente e inerme resa rabbiosa, di fronte l’incalzare di una società che ha smarrito la memoria, anche quella di un recentissimo passato di cui si odono, scorgono e soffrono ferite non ancora e forse mai emarginabili. Siamo nel bel mezzo di un teatro di maniera, dove la classe di ogni singolo protagonista prende il sopravvento sull’incedere della commedia. Un saggio teatrale, attoriale, di tempi e modi, voci e silenzi, pause e sospiri. Nulla è dato al caso, all'improvvisazione. Tutto ciò che si sente e si vede è figlio di studi ricerche, applicazioni e non app, naturalmente. Accanto ai due mattatori, in ordine alfabetico, tutti quelli che insaporiscono l’atto unico, prodotto dal Teatro di Napoli, da quello Stabile del Friuli Venezia Giulia e dalla Fondazione Teatro della Toscana, tradotto, per la bisogna, da Roberto Menin: Silvia Ajelli, Paolo Cresta, Francesca Cutolo, Stefano Jotti, Valeria Luchetti, Vincenzo Pasquariello, Betti Pedrazzi ed Enzo Salomone, con la scenografia affidata a Gianni Carluccio, i costumi a Daniela Cernigliaro e il suono, dal vivo, a Hubert Westkemper.