PRATO. I bassi del diaframma ricordano vagamente quelli usati da Shaggy, il rapper giamaicano. Ci fermiamo qui, con le similitudini, altrimenti qualcuno potrebbe accusarci di qualunquismo; e ci dispiacerebbe. Ramy Essam, in verità, usa la sua voce per ben altri scopi, decisamente più nobili e sono quelli di provare a sensibilizzare, in esilio dai Paesi Bassi, dove è stato costretto a fuggire dal 2014 in seguito a un mandato di cattura per terrorismo, le singolari condizioni alle quali sono sottoposti a vivere gli intellettuali in Egitto, una delle meraviglie del Mondo, che non si allineano ai voleri dei vari despoti illuminati, con modeste attitudini alla democrazia, ma benedetti dall’Occidente e dagli Stati Uniti. A ospitare lui e i fondatori di Babilonia Teatri (al secolo e alla storia, Enrico Castellani e Valeria Raimondi), dopo la cliccatissima visita fatta a Propaganda live, il Fabbricone di Prato, che vanta anche (il Met, naturalmente) la produzione dello spettacolo: Giulio Meets Ramy/Rami Meets Giulio. Che poi, in realtà, è un concerto, con la sola voce e la sola chitarra di Ramy Essam, tradotto in simultanea durante le riflessioni e in video, durante le canzoni, supportato da alcune immagini di disordini in Egitto, che sono quelle che somigliano, maledettamente, a qualsiasi altra forma di disordini che scoppiano in ogni angolo della terra; dalla vicina Palestina, martoriata senza fine da Israele, a qualsiasi altro focolaio che divampa, quotidianamente, a ogni altra latitudine cosmica: se si chiamano dis(ordini), un motivo dovrà pur esserci, no?
Giulio Regeni e il suo labirintico, enigmatico e atroce destino, con lo spettacolo, apparentemente, non c’entra nulla; i due non si sono conosciuti, ma va da sé che quello stranissimo omicidio, ammantato di misteri, ha scatenato, ulteriormente, la voglia, di qualcuno, di provare a scoprire la pentola dal suo coperchio e far luce, una volta per tutte, sulla controversa politica egiziana. E su quelle di tutti quei paesi nei quali, ufficialmente, la democrazia la fa da padrona, anche se, talvolta, inciampano in fastidiosi contrattempi che vanificano, in un attimo, decenni di preziose macchinazioni. Torniamo allo spettacolo, che oltre ad alzati, che sta passando la canzone popolare, ha aggiunto almeno un’altra cosa interessantissima, che riguarda il ruolo degli Ultras, sì, proprio loro, quelli che da noi infiammano le curve degli stadi e che nonostante fingano di essere contrari alle logiche del sistema, con il sistema stesso, in realtà, fanno affari d’oro. In Egitto, invece, gli Ultras sono una ragguardevole potenza antigovernativa, tanto che il 2 febbraio del 2011, allo stadio di Port Said, approfittando del clima incandescente tra la tifoseria dei padroni di casa e quella ospite della capitale, la polizia, dopo aver bloccato le tre uscite dell’anfiteatro calcistico, fece irruzione sul manto erboso trucidando ben 74 tifosi. Insomma, non foss’altro che per questa piccola, cruentissima e tragica parentesi calcistica, alle vicende egiziane dovremmo forse dare maggior peso e attenzione, casomai evitando di andare, appena il contagio potrà dirsi definitivamente vinto, ad arricchire le casse turistiche di Sharm el-Sheikh, una favolosa località balneare costruita sulla barriera corallina e sulle menzogne nazionali.