PRATO. Ad onor del vero e per dovere di cronaca, visto che al racconto spagnolo dell’epica sfida con i marziani verdeoro filtrato dalla sua lente di deformazione, più che di ingrandimento, palermitana, premette una serie di contemporanei accadimenti cosmici, da omicidi mafiosi a congetture internazionali, stragi di angoli di terzo mondo e arresti eccellenti, Davide Enia, mattatore esaltante del suo sequel Italia-Brasile 3 A 2, avrebbe potuto e dovuto aggiungere un paio di dettagli, come l’esplicito riferimento al calcio scommesse e il sospetto, che per Oliviero Beha fu certezza, tanto che la sua insinuazione gli valse la cacciata dall’Olimpo del Pallone, lui che era uno dei pochi a poter disquisire di calcio, che il pareggio con il Camerun, che consentì agli azzurri di Bearzot di proseguire il cammino del Campionato del Mondo in Spagna, fu frutto di una combine al di sopra della liceità. Ma lasciamo da parte la nostra ossessione verista/illuminista e sediamoci nelle poltroncine del Metastasio di Prato, dove fino a domani pomeriggio (domenica 23 ottobre) andrà in scena la replica della rappresentazione e godiamoci la coinvolgente affabulazione siciliana, sorretta, scandita e giustificata, più che accompagnata, dalla colonna sonora verghiana sì, ma ricca di rock e saudade, della chitarra e della batteria di Giulio Barocchieri e Fabio Finocchio.
È vero: quella non fu una partita di calcio nella quale gli strafavoriti carioca piovuti da un altro pianeta vennero battuti da undici umani con alcuna caratteristica supereroica; quella, fu un’apoteosi a tutti gli effetti, nella quale si consumarono il dramma inconsolabile di un Paese intero, quello della bossanova e la glorificazione di un ragazzo qualsiasi, pratese, mingherlino, che non era forte di destro, né di sinistro, che non aveva una grande elevazione e dunque il colpo di testa, che non era letale dal dischetto di rigore, né sulle punizioni dal limite, ma che in quel Mondiale, dopo aver passato, con i suoi compagni, il primo turno preliminare giocando poco e male, contro Argentina, Brasile, Polonia e Germania si trasformò del tutto, diventando, improvvisamente, e per sempre, Paolo Rossi. Il desiderio di tornare su quella partita, a quarant’anni dal suo verificarsi e a venti dalla sua prima rappresentazione teatrale, il drammaturgo Davide Enia, che gioca meravigliosamente con i suoni, le sillabe, le arie delle parole, con il corpo e i suoi movimenti delle braccia e dei piedi, che non può e non vuole fare a meno di scrollarsi di dosso le origini, a marchio di fabbrica, è stato probabilmente motivato dal fatto che, oltre a non aver avuto tempi e spazi pandemici per mettere in piedi lavori nuovi, si sia sentito in dovere di omaggiare qualcuno che, improvvisamente, non c’è più. Non ci riferiamo a Garrincha, al quale Davide Enia ribadisce e replica uno dei momenti più delicati e aulici dello spettacolo, né ai giocatori ucraini che nel 1942, tra storia e leggende che si sono sovrapposte nel tempo, batterono 5-3 gli avversari tedeschi in una partita organizzata proprio dalle SS per umiliare l’invece indomabile orgoglio ucraino. È l’improvvisa scomparsa di Paolo Rossi, che era stato e tornò a essere, dopo quel Mondiale, un ragazzo come noi. A lui, ma senza il peso di un omaggio funebre che avrebbe probabilmente scambiato il testo teatrale in altro, è dedicato questo ritorno a quell’indimenticabile Italia – Brasile 3 A 2, che viene nuovamente disputato, venti anni dopo, nello stesso identico posto, nel salone di casa Enia, dove ci sono il padre, la madre, gli zii, il fratello di Davide e una serie indecifrabile di altri personaggi che popolarono, allora e per sempre, quel pomeriggio di luglio del 1982.