PISTOIA. Lo spettacolo è nuovo, contemporaneo, drammaticamente reale; la recitazione, però, è antica, strutturata, vista e rivista molte altre volte, forse tiepida nella denuncia, vista la sua inflazione, ma oggettivamente sublime. Dipende dalla grazia di Mariangela Granelli, sposa promessa e annunciata, disillusa donna di mezza età che ha improvvisamente riacceso il fuoco del desiderio e della speranza, in attesa che la casa dove andrà a vivere con il suo futuro marito, l’uomo che l’ha fatta ricredere, sia pronta; che dovrà però fare i conti con lo spettro di un cadavere, quello di Cristina Parku, trovato, completamente nudo, nella piscina condominiale, sposa nascosta, perché ingiustificabile e impresentabile a una società che non potrebbe e non vuol capire, che non ha un nome, un cognome, né si sa da quale parte dell’Africa sia partita per arrivare nell’androne di un lussuoso condominio di una città italiana. Su quest’altalena emotiva dondola, tra paurosi scatti d’ira e tenere/violente sessualità, l’eleganza di Valerio Binasco, fuoriclasse puro del teatro italiano, che dirige e interpreta, al Teatro Manzoni di Pistoia (si replica oggi, domenica 4 dicembre, alle 16), Dulan la sposa, tratto dal romanzo della scrittrice romana Melania Gaia Mazzucco e prodotto dal Teatro Stabile di Torino.
È il futuro e desiderato marito di entrambe, il facoltoso imprenditore, che non più giovanissimo ha incontrato, lungo la propria brillante carriera, una piacevolissima donna con la quale ha seriamente intenzione di dividere e condividere il resto della propria vita. Che una sera qualsiasi, però, in visita all’appartamento che sta ristrutturando a sua immagine e somiglianza e nel quale andrà a vivere con la sua legittima sposa, incontra, proprio nell’atrio del condominio, la disperazione della giovane africana, alla quale non riesce a negare un aiuto nel segno di una disinteressata pietas. Che si trasforma, subito, vista la bellezza dell’innominata e indifesa migrante, in desiderio, voluttà, consumo a comando, potere, sesso. La casa non è ancora pronta, ci vorranno ancora alcuni giorni perché la coppia ne prenda pieno possesso; nel frattempo, la ragazza, potrà restare lì, ma senza farsi vedere da nessuno, senza rispondere né al telefono, né al citofono, né tanto meno alla porta, se qualcuno dovesse suonare. In cambio di un’improvvisata e impreventivabile ospitalità, il suo corpo, irresistibile, le sue fattezze, pittoriche, la sua disarmante e irritante semplicità, la sua ingiustificabile dedizione alla naturale sottomissione. È al cospetto di questa cromaticamente sbagliata Venere di Milo che sale in cattedra la rabbia nevrotica, l’assopita tenerezza e la schizofrenica emotività di Valerio Binasco, un uomo che, alla soglia del suo sin troppo razionale, quasi inevitabile, matrimonio, avrebbe fatto molto volentieri a meno di incappare, così coincidenzialmente, nella vita di questa povera ragazza, già abusata e truffata da un altro uomo d’affari, alcuni anni prima, nel suo Paese. Se dovessimo affrontare la correttezza e la scorrettezza del livello politico del romanzo, ci perderemmo, inutilmente, con il rischio di fratture ossee, in un’infinità di rivoli morali, sociali e culturali dai quali non riusciremmo a uscire senza aver confuso le idee, oltre che al lettore, anche e soprattutto a noi. Resta, inscalfittibile, la potenza, forse fine a sé stessa, ma spettacolarmente notevole, della recitazione, che si avvale dei timori generazionali femminili di Mariangela Granelli, della giovane, ma notevole duttilità, della calabrese Cristina Parku e della magnificenza di Valerio Binasco, abilissimo a trasformarsi da famelico carnefice di speranze in rassicurante compagno di progetti.