FIRENZE. Fino all’avvento del telefonino, la trilogia di Gabo era insindacabile. Ognuno di noi, infatti, vanta una vita privata, una vita pubblica e una vita segreta. Dalla telefonia mobile in poi, però, quello che un tempo consideravamo privato sta ora chiuso in una scatolina; pubblico, privato e segreto appartengono a una sola dimensione e solo chi è davvero senza peccato può scagliare la prima pietra. E così, dopo l’oceanico successo cinematografico raccolto immediatamente sin dai primi giorni dell’uscita, Paolo Genovese, il regista, al settimo anno, ha pensato bene di trasferire, sul palcoscenico teatrale, l’identica virtuale fotografia che anima la pellicola della cena delle beffe di Perfetti sconosciuti (alla Pergola di Firenze fino a domenica prossima, 2 aprile), senza cambiare una virgola. Certo, il cast cinematografico, che appena uscito il film, nel 2016, fece incetta di premi, a cominciare dal David di Donatello e una serie indefinita di candidature come migliori attori a Giallini, Mastandrea e alla Foglietta, addirittura a Fiorella Mannoia per la colonna sonora, è completamente diverso da quello teatrale, ma i personaggi, con le loro simpaticissime, irritanti, ipocrisie e falsità ottengono lo stesso graditissimo risultato, guidando il pubblico, sotto l’egida della sempreverde volgarità romanesca, dalle risate sguaiate della prima parte fino all’inevitabile epilogo intimistico, morale, rispettoso e tollerante delle altrui diversità, imbuto nel quale ognuno, cadendoci, non saprebbe assolutamente come venirne fuori, se mai dovesse succedere.

La storia è ormai arcinota; Eva (Valeria Solarino), psicologa, e Rocco (Paolo Calabresi), chirurgo plastico, coppia in piena crisi con una figlia diciassettenne in perfetta crisi generazionale, invitano a cena, in una sera di eclissi di luna totale, alcuni amici: il tassista Cosimo (Marco Bonini) e la giovane moglie veterinaria Bianca (Alice Bertini); Lele (Dino Abbrescia) e Carlotta (Anna Ferzetti), sposati da dieci anni e genitori di due figli e Peppe (Massimo De Lorenzo), in attesa, da alcuni mesi, del rinnovo del contratto come professore di ginnastica, invitato con Lucilla, la nuova compagna, che però non si presenterà alla serata a causa di un improvviso attacco influenzale. La notizia che un loro amico comune sia stato lasciato dalla moglie che ha scoperto, rovistando tra le chat del telefonino del marito, la presenza di un’amante, induce i sette amici a fare un piccolo gioco/esperimento: lasciare sul tavolo i rispettivi cellulari facendo gestire ogni informazione, tra telefonate e messaggi, agli altri. L’ingrediente dell’infedeltà è capace di sfornare qualsiasi cinica prelibatezza e quando si parla di short message, memorizzazione alfanumerica sulla rubrica del telefonino e quant’altro appartenga alla storia, ultra contemporanea, dei cellulari, trasformare sadici avventori in indifendibili vittime è un attimo. La trama del film è così nota che non rischiamo alcuna accusa di spoileraggio se scriviamo che anche a teatro, quel gioco al massacro di traditi e traditori, false gelosie e omosessualità, giudizi e giudicati, che ha così ben impressionato e impreziosito la pellicola, non succederà e che tutti, alla fine della serata, torneranno alle proprie case, abitudini e menzogne con la stesa candida disinvoltura con la quale si erano presentati all’appuntamento. La nota più stonata, ma non certo per le casse della Pergola, sono i sei pienoni che il Teatro fiorentino ha registrato nelle altrettante repliche della commedia, ben fatta, beninteso, ben strutturata, veloce, intuibile, saggiamente dosata tra ammiccamenti, microdosaggi di scurrilità metropolitane e una cascata di vitale spensieratezza, senza dimenticare lunga quanto si debba per le ormai ridotte sopportazioni e attenzioni umane: l’ennesima, tragica, conferma che il teatro, ormai, vero cantiere attoriale, si muova, paradossalmente, a rimorchio del cinema e della televisione, sempre più popolata, specie quest’ultima, fino all’ingolfamento, dal giorno della civetta in poi, da pochissimi uomini, alcuni mezz’uomini, molti ominicchi, tanti ruffiani e un esercito di quaquaraquà.  

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