PONTEDERA (PI). La scrittura teatrale di Michele Santeramo è letteralmente inconfondibile: somiglia l’unicità del suono della chitarra di Carlos Santana, o quella di B.B. King, come di George Benson, del resto; basta che uno di loro imbracci la propria sei corde e intoni poche note che, chi li ha già sentiti, non esiti un attimo a riconoscerli. Lo stesso succede quando si ascoltano le parole di un testo di Michele Santeramo; frasi interrotte, a volte monosillabi, proferiti addirittura con cadenza incerta, quasi balbuziente, senza epiloghi, ma comunque essenziali, profonde, terminate. Un’antologia ermetica di emozioni, delle quali se ne può anche ignorare il mittente, ma che arrivano, tutte, indistintamente, proprio lì, in fondo al cuore, nella parte sudorientale, quella più vicina allo stomaco. Interprete delle sue interpretazioni, ieri sera, al teatro Era di Pontedera, è stata Sonia Bergamasco, che ha raccontato l’amore infantile, adolescenziale, straziante, totale, unico, ma inconsapevolmente bifronte, inevitabilmente melodrammatico, soprattutto dopo l’intervento teatrale, goduto, patito e sofferto da Rossana, la moglie del corpo di Cristiano e delle parole di Cirano. È sulla tragedia teatrale di Edmond Rostand, su quello che lui, come direbbe Roy Batty, il replicante, non poteva neanche immaginare, che Michele Santeramo ha concentrato studi e rielaborazioni per arrivare alla triplice drammaturgica stesura di un amore e dei suoi interpreti, Un’Era D’Amore, un concentrato enigmistico dell’omonimo teatro e del direttore artistico, Marco D’Amore, affidato, in sequenza, senza soluzione di continuità, a Rossana (Sonia Bergamasco), Cristiano (Rocco Papaleo, stasera, domenica 24 settembre) e Cirano (Silvio Orlando, domani, lunedì 25 settembre), con un sottofondo musicale cinematografico del polistrumentista Sergio Altamura, in un teatro di antiche bellezza e accoglienza, elegante, rinnovato e futuribile grazie a Revet e al riciclo della plastica, con il quale si è costruito l’emiciclo posteriore dell’anfiteatro, quello che ospita gli spettatori estivi e che ieri è rimasto, seppur vuoto, comunque presente, avvolgente, protettivo, aperto alla visione e all’aria pungente del pubblico disposto di qua dal palco. Una ciambella con il buco, l’organizzazione del teatro Era, un buco perfettamente circolare, nel bel mezzo, grazie anche alla naturale cortesia dell’intero personale di sala, dell’abbondanza del buffet, e di un clima complessivo inequivocabilmente e inesorabilmente gradevole. E poi lei, Sonia Bergamasco, completamente immersa nel mood di Rossana, impegnata in questa doppia, molteplice lettura, così come si può immaginare: bella, elegante, soffice, ironica, matura, ma soprattutto bravissima, in particolar modo nello studiare, con abnegazione, la professione di attrice, dalle Prove di infelicità, sottotitolo di Anna Karenina, fino a ieri, dove si vedono, insindacabilmente, le ore e ore trascorse in palestra ad esercitarsi e sudare sangue per capire, fino in fondo, il dono dell’amore, della sua naturale e congenita bellezza, che finisce per macchiarsi, e dunque inevitabilmente indebolirsi, a contatto umano, quando raggiunge il suo scopo, quando si materializza, perdendo, inevitabilmente, i suoi slanci e istinti primordiali per accomodarsi e accoccolarsi attorno alle abitudini, nella dinamica, perversa, di coppia, dove si offre per ricevere e si riceve con la consapevolezza di dover rendere. L’amore invece, l’amore nella sua Era migliore, persa, contemporanea, non ancora vissuta, è quello che ha bisogno della maestosa integrità fisica di Cristiano e delle suadenti, irresistibili, affascinanti parole e attenzioni di Cirano, entrambe rivolte all’adolescente Rossana, che solo fino a quando rimarrà bambina, solo fino a quando non capirà, ignara che il suo unico amore sia in realtà la congiunzione di più anime, indifferentemente indispensabili per il suo eterno, letale godimento, potrà dirsi felice.