PRATO. Ha perso, parecchi, chili e ha deciso di lasciarsi allungare, molto, i capelli. Il resto, è tutto come prima, ossia una meravigliosa macchina da guerra enigmistica, che Alessandro Bergonzoni continua a caricare, non proprio a salve, per fare fuoco nei suoi imperdibili spettacoli. Sì, è vero, prima recitava a braccio, o almeno, memorizzava tutto; ora, ha bisogno di sfogliare gli appunti, a(b)braccio, ma resta, comunque, un inimitabile genio assoluto. Al Metastasio di Prato è successa la solita identica cosa; parte da un punto qualsiasi e plana, con metodica nevrosi, incalzante sinonimia, a velocità supersonica, senza concedere spesso allo spettatore il tempo di capire e sorridere all’ennesima irridente battuta (che nemmeno i tennisti, sovente, riescono a cogliere), dove desidera, ossia l’immarciscibile attaccamento alla pace come minaccia vera e propria dell’industria di guerra, costellata di attenzioni verso gli ultimi, gli emarginati, i dimenticati. Anche questo show, come tutti quelli che ha allestito in quarant’anni di rappresentazioni, che non ha titolo, ma che potrebbe averne qualsiasi, è un altro, seppur riassunto di molti di quelli fin qui portati in scena, straordinario comizio contro tutti i luoghi comuni, a cominciare dalla guerra, che tra i luoghi comuni è forse quello che ci accomuna con paradossale facilità, per lambire una serie di fatali, idiote, legiferanti banalità. Con quel linguaggio, con quel linguaggio del corpo e un’irrazionale razionalità che si materializza e si rende inevitabile solo dopo che l’ha proferita. Un’escursione costante tra i meandri consonantistici, vocali e sillabici della lingua italiana, un inserto fisso della rivista settimanale di enigmistica per antonomasia, tra le parole crociate senza schema di pagina 46 e i due rebus rompicapo della successiva, prima delle ultime tre pagine, che sono, in ordine, le soluzioni potabili della rivista stessa e quelle dei giochi più complicati del numero precedente. Un genio della parola, delle sue trasformazioni, uno sciaradista incallito, un inventore di parabole, una mitragliatrice di ultimissima generazione che riesce a uccidere, di risate, senza concedere il tempo, alla sua vittima spettatrice, di capire, percepire e avvertire l’entrata del bossolo nella pelle. Nel suo fiume di agganci, riferimenti, arrocchi letterali, siamo oltremodo convinti che, sovente, alcune paradossali, meravigliose, intuizioni sfuggano anche a lui, autore divertente e divertito delle sue illazioni linguistiche che non si può permettere il lusso, per ovvietà scenografiche, di divertirsi insieme al suo pubblico. Questo spettacolo innominato è la summa di una serie fantasmagorica di esibizioni dalle quali ha attinto, travasato e riassunto, alcune delle sue gemme, che ricordiamo con lucido divertimento, come pietre miliari de Le balene restino sedute, Predisporsi al micidiale, Nel, Urge, Trascendi e sali e altri spettacoli nei quali scenografia e canovaccio sono sempre stati gli stessi: lui nel suo ricchissimo nulla. Per queste quattro serate al Metastasio di Prato, però, con la benedizione di Emergency, il pirotecnico autore bolognese ha voluto farsi accompagnare, al termine dello straripante rosario apocrifo e pseudoblasfemo (la battuta su poco dio e poca madonna ricorda, da vicinissimo, quella di Roberto Benigni in Berlinguer ti voglio bene, quando pensa alla destinazione ultraterrena della mamma morta: inferno, purgatorio, paradiso; 1, X, 2), da quattro personaggi (uno per serata). Giovedì, per l’esordio, all’altro lato della lunga tavolata coperta da una tovaglia rossa, si è seduto il politico e sociologo Luigi Manconi; stasera, sabato, sarà la volta di Edoardo Camurri, scrittore e conduttore televisivo, mentre domenica, la quarta e ultima serata vedrà la partecipazione, nel breve dibattito che succede allo spettacolo, della collega critica teatrale Sara Chiappori. Ognuno di loro darà il proprio contributo alla causa dell’arte, in ogni suo aspetto, in tutte le sue possibili sfaccettature. A noi, fortunati (perché accreditati, dunque non paganti) spettatori del venerdì, è toccata in dote la collega critica d’arte Manuela Gandini, che oltre a qualche forbita informazione ha anche tessuto le lodi dell’artista serba Marina Abramovic (che vive a New York, naturalmente), una delle tante eredi di Andy Warhol, il capostipite dei trapper. Non sappiamo su cosa verteranno le chiacchierate che Alessandro Bergonzoni tesserà, stasera e domani, rispettivamente, con Edoardo Camurri e Sara Chiappori e lungi da noi malaugurarvi nulla, ma se voleste evitare l’eventuale inconveniente che abbiamo sofferto noi ascoltando Manuela Gandini, vi suggeriamo, a fine devastante monologo, di abbandonare il teatro: il prezzo del biglietto è già abbondantemente giustificato.