di Adriana Casalegno

FIRENZE. Al tavolo ampio, scuro, i volti illuminati di Elio Germano e Teho Teardo; dietro, una luce blu; ai loro lati una fisarmonica e piccole campane sospese ad un filo; ai nostri lati il suono vivace dell'acqua dei torrenti. Al teatro La Pergola di Firenze (inutile segnalare le repliche; sono tutte esaurite) inizia Il sogno di una cosa, prodotto da Pierfrancesco Pisani per Infinito Teatro, Argot Produzioni, Teatro della Toscana, con il contributo della Regione Toscana, con la voce intima di Elio Germano e i gesti di Teho Teardo su tasti di consolle e computer che generano la rete dei suoni. In una versione di parole e musica, dalla platea del bel teatro fiorentino i palchi sono stati esclusi per una migliore resa acustica; seguiamo la storia di tre ragazzi che, nell'indigenza, nella miseria del secondo dopoguerra, decidono di emigrare spinti dal sogno di rivoluzione, dal desiderio di un mondo libero, luminoso, migliore. Lo vediamo quel sogno, quel confine all'orizzonte: la Jugoslavia. Ci arriva dai toni di Germano, dalle sue mani verso di noi. Ne abbiamo sentito l'attesa attraversando le sue parole che ripercorrevano la confusione di una festa; ne abbiamo sentito l'attesa attraversando i suoni acustici combinati con l'elettronica resi da Teardo nello spazio dentro e attorno a noi. Sì, il senso privilegiato è l'udito, il corpo in scena è quello dello spettatore. Un corpo che vibra, che cerca le sorgenti del suono, che, all'inizio, ė immerso nella festa, in un ritmo quasi orgiastico di un'antica danza. Un corpo che sentiremo nel fango, nei boschi lungo il pellegrinaggio, nella burocrazia degli slavi, nel sogno rimasto eco, nei suoni etnici della casa dei clandestini, nei gruppi dei manifestanti che occupano le ville dei signori, un corpo minacciato da camionette dell'esercito. Molte delle voci di allora, registrate, come indicava la ricerca degli anni '50, tornano a farsi ascoltare da noi, in un tempo di ieri e di oggi. Il cantastorie Germano racconta, mentre il corpo dello spettatore è inondato da suoni e dialoghi che arrivano da dodici casse poste attorno alla platea. Lo spettatore è messo alla prova circa la propria sensorialità. L'evento innesca sensazioni conflittuali e complesse: seguire la voce narrante e i dialoghi riportati, o i suoni pervasivi? Qui l'arte, nella sua ricerca composita, rende attraenti spazi di possibilità, offre emozioni conosciute e non. Già nel racconto di Pasolini, dalle prime pagine, sgorgano descrizioni di suoni, rumori di giovani, canzoni, bicchieri che vengono rotti, risate, fragore che si propaga nell'aria, parole ubriache di vecchi. Tutto si ode, persino il silenzio è fresco e sonoro, scrive l'autore. Ora i suoni vivono. Sono il labirinto onirico. Mentre seguiamo il duro e illegale viaggio verso la Jugoslavia, pensiamo al nostro presente capovolto, alla rotta balcanica. Pensiamo ai desideri legittimi di speranza di una vita migliore. Pensiamo anche al ripiegamento dovuto al proprio tornaconto e al desiderio che Pasolini vedeva già negato: il desiderio della rivoluzione, della resistenza. 

Pin It